Il numero due di Trump, 40 anni, si è tolto la maschera (e i guanti): è l’inizio della fine dell’amicizia atlantica o solo una crisi di maturità ?
Dal Corriere della Sera di Federico Rampini
Il quarantenne che rappresenta il futuro del trumpismo.
A Monaco di Baviera il vicepresidente ha «gettato la maschera» davanti al mondo intero.
Chi non aveva ancora un’idea precisa su di lui ha potuto farsela alla conferenza strategica in Germania.
«Shock e spavento», l’espressione divenuta celebre in un contesto bellico, descrive bene l’effetto della sua apparizione sul Vecchio continente.
È la fine di una relazione speciale, l’alleanza transatlantica, che ha segnato la nostra storia dal 1947 ad oggi ?
Quanta strada per il figlio di «white trash», spazzatura bianca, che nell’autobiografia «Elegia americana» racconta il contesto familiare degradato, la miseria e il crollo di autostima del mondo in cui è nato: la classe operaia devastata dalla globalizzazione, gli emarginati che non hanno la
compensazione di essere classificati tra le categorie protette.
Proprio a lui è toccato l’onore di spiegare all’establishment europeo fin dove può spingersi la revisione dell’ordine globale promossa dalla Casa Bianca.
Vance ha attaccato i governi alleati e ha sdoganato l’estrema destra: lo ha fatto sul territorio
tedesco a dieci giorni dalle elezioni legislative in quel Paese. Più di Putin e Xi Jinping gli europei devono guardarsi da un «nemico interno », ha detto: un’ ideologia politicamente corretta che
censura chi la pensa diversamente, nega la parola agli antiabortisti o a partiti filonazisti come l’Afd tedesca. «Se avete paura dei vostri stessi elettori — ha detto — l’America non può fare nulla per voi».
Dopo aver ricordato gli ultimi attentati d’ispirazione jihadista in Germania, ha accusato: «I cittadini europei non hanno votato per aprire le frontiere a milioni di immigrati ». Sui temi al centro della conferenza strategica di Monaco: l’America si preoccupa per la sicurezza europea e
pensa di poter raggiungere un accordo tra Russia e Ucraina, ma «l’Europa deve fare grandi
progressi verso la capacità di difendersi da sola». Verso Putin però ha aggiunto qualcosa di diverso rispetto a quanto aveva detto Donald Trump: ha minacciato nuove sanzioni contro la Russia, e perfino un aumento della pressione militare, se Mosca non si dimostra «ragionevole».
La conferenza strategica di Monaco non è nuova a discorsi di svolta. Fu lì che nel 2007 Putin annunciò i suoi piani di riscossa antioccidentale e di ricostruzione della sfera d’influenza zarista o sovietica, che pochi vollero prendere sul serio: seguirono nel 2008 la guerra in Georgia, nel 2014
l’invasione della Crimea, nel 2022 l’Ucraina.
Prendere sul serio Vance, oggi, cosa può significare ?
A parte il tentativo di esportare in Europa la rivoluzione culturale «anti-woke » in corso negli Stati Uniti,
quale nuovo ordine globale sarebbe in gestazione ?
Un’opzione si può semplificare come Nuova Yalta.
L’allusione qui è al vertice fra i vincitori della Seconda guerra mondiale (Roosevelt, Churchill,
Stalin) che si spartirono il mondo in sfere d’influenza.
Trump sarebbe disposto a concedere più libertà di azione a Putin e Xi Jinping nel vicinato di Russia e Cina; a indebolire le alleanze con Europa e Giappone; in cambio di un commercio mondiale più equilibrato a vantaggio degli Usa, e di una maggiore presa americana nell’emisfero occidentale (dal Sudamerica all’Artico).
Il collante politico fra le liberaldemocrazie, l’idea stessa di Occidente come di una civiltà legata da un patrimonio di valori, è abbastanza estraneo a Trump.
Anche se Vance a modo suo ha fatto riferimento a quell’eredità storica quando ha accusato
alcuni governi europei di calpestare la libertà di espressione.
Smantellare l’alleanza atlantica costruita da Franklin Roosevelt e Harry Truman, e mantenuta da tutti i successori democratici o repubblicani, ha delle forti controindicazioni.
Contrasta con l’enorme accumulo di interessi materiali che legano le due sponde dell’Atlantico,
ivi compresi quei gruppi capitalistici che gli europei oggi descrivono come «oligarchia» allineata con la Casa Bianca.
Voltare le spalle all’Europa non è coerente neppure con le velleità di Vance e di Elon Musk di esportare il trumpismo con lo slogan Mega, Make Europe Great Again.
Un’altra possibilità è che questa storia sia una variante di altre crisi familiari, episodi burrascosi che hanno agitato la relazione transatlantica.
I precedenti abbondano. Si va dalla decisione del generale De Gaulle di abbandonare il comando integrato della Nato ai tempi della guerra del Vietnam.
Fino alla rottura di Germania e Francia con George W. Bush quando invase l’Iraq nel 2003. Fu allora che il segretario Usa alla Difesa, Donald Rumsfeld, rese celebre il titolo di un saggio di geopolitica: «Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere ».
Rumsfeld poi lanciò un affondo per distinguere tra la Nuova Europa — i Paesi dell’Est risolutamente filoamericani — e la Vecchia Europa che vedeva abbarbicata al passato.
Un’altra discriminante è sempre stata il Medio Oriente, dove oggi il trumpismo può
essere interpretato da Netanyahu come un via libera per un attacco all’Iran.
Vance con l’intervento di Monaco ha creato panico in Europa anche perché ha colto debolezze reali.
I tedeschi che vanno al voto il 23 stando ai sondaggi non penalizzano il leader democristiano Merz per avere accettato i voti dell’estrema destra sui limiti all’immigrazione.
Le tensioni legate ai flussi migratori mal governati hanno spostato le opinioni pubbliche europee a destra — a cominciare dalla Francia negli anni Ottanta — molto prima che Trump entrasse
in politica.
La guerra dei dazi coglie il Vecchio continente in una posizione di estrema debolezza: la sua economia è incapace di stare al passo di quella americana, ed è molto più protezionista di
quanto si creda, come ha ricordato Mario Draghi.
L’esercito europeo che Zelensky chiede per garantire la sicurezza futura del suo Paese —
duecentomila soldati da schierare subito in Ucraina come deterrente per la Russia —semplicemente non esiste.
Se l’elettroshock di Vance dovesse svegliare le opinioni pubbliche dal loro letargo geopolitico, sarebbe una di quelle crisi che fanno crescere l’Europa.
Dal Corriere della Sera di Federico Rampini
