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Il ritorno del male travestito da salvatore. Di Marinella Andaloro

Last updated: 28/10/2025 12:19
By Redazione 316 Views 7 Min Read
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Questo male si è travestito mille volte, e ogni volta ha trovato chi lo accogliesse come un salvatore.
Ma noi no, noi lo abbiamo riconosciuto.

Ha sedotto i pavidi, gli ingenui, i corrotti; ha illuso i furbi travestiti da patrioti e i mediocri che confondono l’obbedienza con la virtù. Ha preso dimora nelle menti deboli, corrotte, insignificanti.
Ma non nelle nostre.

Si nutre di paura e di rancore, cresce dove l’ignoranza si fa certezza e la menzogna diventa opinione.
Prospera nei piccoli feudi, dove il potere locale si fa tirannia quotidiana e il controllo sociale diventa strumento di vendetta.

Questo male si compiace della sua mediocrità: la chiama equilibrio per non ammettere la viltà. Così può continuare a fallire e a dare la colpa agli altri dissimulando ipocritamente innocenza. E a odiare chi gli ricorda ciò che non sarà mai.

Parla la lingua del popolo, ma solo per addormentarlo. Predica libertà, ma pretende sottomissione. Si finge giusto, ma vive nel torbido sempre alla ricerca del torto altrui.
Si nasconde dietro la scrivania, dietro le procedure. Inventa ostacoli burocratici per chi non si piega, per chi osa opporsi. Fa della prassi amministrativa un’arma di controllo e intimidazione.

Non discute: insulta. Non ascolta: proclama. Non serve: comanda. È il servo che sogna di essere padrone e, una volta al potere, resta servo nell’anima.
È l’eterno lacchè che brama il comando assoluto, pronto a tutto pur di sentirsi il capo, l’unico arbitro delle regole.
Sì, cercatelo tra quei wannabe mammasantissima. Ma non illudetevi non sono più aspiranti.
E, forse, non lo sono mai stati.

Ama le folle che non pensano, disprezza chi ragiona, teme chi ha memoria.
Detesta le culture differenti, disprezza i vulnerabili, gli anziani, i malati. Ma questo odio tradisce solo la paura travestita da arroganza: è solo il riflesso della propria nullità.

Marchia come sovversivo chi chiede trasparenza, come nemico chi protesta. Tiene liste di prescrizione di chi non applaude, di chi non si inchina, di chi osa dissentire.

Finge di onorare l’arte, ma la teme perché l’arte libera; disprezza la cultura, perché la cultura smaschera.
E noi, noi l’abbiamo smascherato.

Ha innalzato altari al cinismo, fatto della mediocrità una virtù e della volgarità uno stile. Ha corrotto la parola “merito” riducendola a privilegio, e ridicolizzato la parola “popolo” trasformandola in rifugio per la loro meschinità.

È volgare per natura, esibisce la tracotanza di chi si è arricchito senza mai affinare lo spirito.
Copia senza vergogna, ripete formule altrui spacciandole per geniali, ma resta rozzo, provinciale nell’anima.

Distribuisce favori agli amici, appalti ai fedeli, posti ai parenti. Li nega a chi non lo celebra, a chi lo contesta, a chi non appartiene alla sua cordata.
Tutto ciò che sbandiera fuori, gli manca nell’anima.

Si riempie la bocca di patria, ma non ama la terra: la consuma, la disprezza. Parla di onore, ma ignora la dignità.
Disprezza la libertà quando è degli altri, schernisce la giustizia quando non gli conviene. Opprime i deboli con arroganza e riverisce i potenti con servilismo.
Distrugge vite, comunità e territori; poi va a messa la domenica, con la coscienza lavata dall’ipocrisia.

Sfoggia madonne e crocifissi, invoca la tradizione, ma tradisce ogni valore umano nel quotidiano esercizio del potere.
Dice di credere, ostenta santini e simboli sacri, ma il suo unico culto è se stesso.
Vive di superstizioni e fandonie, ma si considera furbo. Pretende di fare ciò che vuole, soprattutto se questo arreca danno al prossimo.

Non ha più bisogno di divise, parate o saluti. Gli basta l’abitudine, l’apatia, la paura che si finge buon senso. Gli basta che la gente taccia, che non protesti, che non sogni più.
Gli basta che nessuno parli troppo, che nessuno chieda conto, che tutti abbassino lo sguardo quando passa. Gli basta il silenzio complice di chi sa ma non dice, la rassegnazione di chi ha smesso di credere che le cose possano cambiare.
E se necessario, non esita a trasformarsi in un essere violento che piega le leggi a proprio uso invece di servirle, perché tale brutalità senza clamore è la sua unica vile eloquenza dietro la scrivania.

Ma noi non siamo fra quelli. Noi non tacciamo, non applaudiamo, non attendiamo ordini. Abbiamo memoria, pensiero e soprattutto dignità. Quella che loro non hanno mai avuto.

Li abbiamo riconosciuti e chiamati per nome. Non sono ciò che fingono di essere: sono impostori, giullari del palazzo, parassiti della libertà, saccheggiatori della speranza.
Sono i piccoli feudatari locali che confondono il bene comune con il proprio tornaconto, il potere per licenza di distruggere.

Questo male antico, rinato con un volto più lucido ma con lo stesso sguardo torvo, è l’eterno vizio del pusillanime: inginocchiarsi davanti al potere e disprezzare chi ha l’ardire di sfidarlo.

Ma noi non ci siamo mai inginocchiati. Noi sappiamo chi sono. E loro sanno che li abbiamo smascherati.

E poiché non temono Dio, temano almeno la verità.

Non servono più camicie nere.
Essi sono il fascismo del nostro tempo.

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