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Il silenzio assordante che annichilisce le coscienze. Le diverse dinamiche e visioni su fatti di cronaca e politica

Last updated: 01/08/2025 8:02
By Sergio Cirlinci 222 Views 10 Min Read
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I social media, ma anche alcuni mezzi di informazione, rivelano spesso dinamiche complesse e a volte, “ipocrite”, soprattutto quando si tratta di commentare notizie di cronaca che coinvolgono individui comuni o figure politiche.

L’osservazione di come l’opinione pubblica si manifesta, o si ritira, in base al soggetto della notizia, offre uno spaccato interessante sulla psicologia collettiva e sulle sfumature della libertà o opportunità di espressione online.

Quando la notizia riguarda un cittadino comune, e a maggior ragione se si tratta di un extracomunitario, i commenti e gli articoli si susseguono con una veemenza impressionante.

Non si tratta solo di esprimere un’opinione, ma spesso di un vero e proprio linciaggio.

Sembra che ogni freno inibitorio sparisca, trasformando la discussione in un’arena dove il giudizio sommario, la condanna senza appello e l’odio, in alcuni casi, regnano sovrani e dove il concetto di colpevole sino a sentenza definitiva non esiste, loro diventano la “cassazione”.

Frasi fatte, stereotipi e pregiudizi si rincorrono incessantemente in commenti e articoli che difficilmente conoscono una fine, alimentando l’indignazione collettiva e, in alcuni casi, vere e proprie campagne diffamatorie o di odio, in alcuni casi razziale.

Questo accade perché il cittadino comune è ritenuto “debole” e quindi attaccabile, un bersaglio facile su cui sfogare frustrazioni e insoddisfazioni senza timore di ripercussioni personali. L’extracomunitario, poi, diventa spesso il capro espiatorio ideale per tensioni sociali preesistenti, concentrando ulteriormente il dibattito e liberando un razzismo presente ma mai ammesso, “non sono razzista, ma”.

Il panorama cambia radicalmente quando al centro della notizia c’è un politico.

Se il politico in questione è “lontano”, ovvero appartiene ad uno schieramento politico avverso, i commenti si infiammano con una logica da tifoseria.

La parte avversaria si scatena in un’ondata di critiche, accuse e condanne, spesso strumentalizzando la notizia per attaccare l’intero schieramento.

Viceversa, chi appartiene alla stessa parte politica interviene in difesa, cercando di minimizzare i fatti, giustificare le azioni o attaccare a sua volta la fonte della notizia o gli accusatori.

In questo scenario, il dibattito è ideologizzato e la verità dei fatti passa spesso in secondo piano rispetto all’appartenenza politica e alla necessità di proteggere o attaccare l’immagine del proprio o altrui partito. Lo scontro in questo caso diventa un campo di battaglia ideologico.

La dinamica più inquietante e, forse, sintomatica di una certa patologia sociale emerge quando la notizia riguarda un politico “vicino”, cioè appartenente allo stesso schieramento politico o a cui si è legati da un senso di appartenenza, amicizia o quando la notizia tocca corde sensibili relative al potere locale.

In questi casi, si assiste a un fenomeno paradossale: tutti leggono la notizia, l’informazione circola e viene recepita, eppure nessuno si esprime pubblicamente, i commenti scompaiono, le bacheche restano silenziose.

Non è che la conversazione non interessa, al contrario interessa molto di più, ma si sposta nel privato, nelle chat di gruppo, nei messaggi, dove la classica frase “lo sanno tutti” diventa il mantra.

Questo silenzio pubblico, accompagnato dal baccano privato, è un chiaro indicatore di paura, omertà, convenienza o semplicemente di un senso di impotenza di fronte a meccanismi di potere percepiti come intoccabili.

La paura di esporsi, di subire ritorsioni, anche solo sociali, o la consapevolezza di non poter cambiare lo status quo, portano a una sorta di autocensura collettiva.

Il “lo sanno tutti” diventa un modo per delegittimare l’esigenza di una discussione pubblica, come a dire “che ne parliamo a fare”, normalizzando ciò che dovrebbe invece generare indignazione e un acceso dibattito.

Questo comportamento è inaccettabile e dovrebbe essere oggetto di riprovazione, ma richiede un’azione su più fronti.

Promuovere intanto la consapevolezza, incentivare il pensiero critico, incoraggiando il dibattito costruttivo.

In questo anche i media in generale devono svolgere un ruolo di guida, proponendo analisi approfondite che vadano oltre la logica del “tifo”.

Basta leggere anche solo i titoli di alcune testate a livello nazionale, per comprendere che ciò non avviene, la stessa notizia, lo stesso fatto viene raccontato in maniera diametralmente opposta, quello che per qualcuno è nero, per altri è grigio, per altri ancora bianco e per alcuni trasparente…non esiste.

Si dovrebbero invece analizzare e denunciare apertamente i fenomeni senza linciaggio o silenzio, stimolando la riflessione pubblica e promuovendo la pluralità delle voci, dando spazio a tutte le notizie e soprattutto alle voci dissonanti e meno mainstream per contrastare la tendenza alla monocultura del pensiero.

Ma è necessario anche rompere il muro del silenzio, per fare in modo che sempre più persone abbiano il coraggio di esprimere pubblicamente le proprie opinioni, anche quando sono scomode, specialmente quando si tratta di denunciare abusi o ingiustizie che “tutti sanno” ma nessuno dice, sostenere chi si espone, creare maggiori reti di supporto per coloro che decidono di rompere il silenzio, proteggendoli da eventuali ritorsioni o attacchi e valorizzare l’esempio mettendo in luce storie di cittadini che, nonostante i rischi, hanno scelto di parlare pubblicamente, incoraggiando altri a seguire il loro esempio.

Il silenzio su alcune notizie e il baccano su altre non sono semplici anomalie, ma sintomi di una società complessa, in cui la paura, la convenienza e la polarizzazione politica possono soffocare il dibattito pubblico e la ricerca della verità e della giustizia, uccidendo la speranza.

Stigmatizzare questo comportamento significa non solo criticarlo, ma agire attivamente per costruire una società più matura, responsabile e coraggiosa, dove la libertà di espressione sia un mezzo per la giustizia e la trasparenza, non un’arma di offesa o uno scudo.

In definitiva, il fenomeno del “lo sanno tutti” che sfocia in un silenzio pubblico complice è una forma sottile, ma potente, di omertà.

E’ la classica omertà, quella sociale e psicologica che nasce dalla paura delle ripercussioni, da un senso di impotenza di fronte al potere o dalla convenienza.

Una politica sana e autentica dovrebbe essere la prima a combattere questa tendenza, non a far finta di nulla.

I politici “puliti” hanno il dovere di essere i primi ad esporsi, stimolando un dibattito onesto e coraggioso, creando un ambiente in cui i cittadini si sentano liberi di poter esprimere dissenso e critica, senza timore di essere emarginati o, peggio, subire ritorsioni.

La politica non dovrebbe solo ascoltare in silenzio chi ha il coraggio di criticare o evidenziare, ma incoraggiarla attivamente, mettendosi in prima fila e riconoscendola come un elemento vitale per la sua stessa salute democratica.

Quando la classe dirigente affronta certi temi, anche quelli scomodi e che “tutti sanno”, invia un messaggio potente e dirompente, cioè che l’onestà intellettuale e il coraggio civico sono valori fondanti, capaci di spezzare la spirale del silenzio e di costruire una società più giusta e trasparente.

Solo così l’omertà, in tutte le sue forme, potrà essere gradualmente cancellata e la politica malata allontanata definitivamente dai palazzi del potere. Ad Maiora

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