Altro che gli “spiccioli” da versare al solo migrante eritreo bloccato sulla Diciotti. Ora, contro l’Italia, batte cassa pure la Corte europea dei diritti umani.
Che ci obbliga a pagare 10 mila euro per colpa della vecchia prescrizione. Giusto quella che all’opposto il Guardasigilli Nordio vuole ripristinare.
Ferma al primo voto della Camera del gennaio 2024 e in attesa dell’ultimo ok al Senato.
Secca marcia indietro rispetto alla Bonafede (stop dopo il primo grado) e perfino alle modifiche
di Cartabia (due anni per l’Appello).
Ma giusto la vecchia prescrizione viene criticata dalla Cedu perché “dopo l’apertura di un procedimento” si finisce per non avere giustizia.
Il 13 febbraio pubblica la sentenza che ha per protagonista una donna vittima di violenze.
Fatti dal 2007 al 2009 che le hanno devastato la vita. Lei arriva a Strasburgo dopo le bocciature
in primo grado e in Appello senza che i suoi diritti siano riconosciuti.
E una causa civile tuttora aperta. Il caso ovviamente è prescritto.
In una dozzina di pagine la Cedu ripercorre i fatti e conclude: “All ’unanimità la Corte dichiara
la domanda ricevibile per violazione dell’articolo che vieta la tortura e le pene o i trattamenti
inumani o degradanti”.
L’Italia “deve versare alla ricorrente, entro tre mesi, 10 mila euro per danno morale”. Perché
“la passività giudiziaria di fronte alla gravità delle violazioni denunciate” si combina “con la peculiarità della prescrizione e con i ritardi nelle procedure incompatibili con i requisiti della Convenzione”.
Una critica durissima alla vecchia prescrizione.
Come spiega Gian Luigi Gatta, docente di Diritto penale alla Statale di Milano, “solo in Italia e in pochi altri paesi del mondo la prescrizione si può verificare a processo in corso. Normalmente si
ferma quando inizia il processo come in Spagna e Francia, o dopo il primo grado come in Germania.
Il nostro sistema dovrebbe funzionare come un orologio svizzero. Ma lentezza e prescrizione sempre possibile sono un cocktail micidiale”.
I fatti: il 21 dicembre 2009 la donna denuncia di essere vittima da due anni di “violenza fisica,
atti di persecuzione e molestie dell’ex compagno” che “la segue in macchina, controlla la
biancheria intima, la insulta, l’allontana dalla famiglia, la minaccia”.
Il 4 marzo 2010 parte l’indagine. Il pm non la interroga. Tre anni dopo chiede il rinvio
a giudizio dell’uomo per molestie, prima udienza il 7 novembre 2013, assolto l’8 gennaio 2016.
Sentenza confermata il 30 maggio 2017 in Appello. La donna ricorre in Cassazione che il 5 giugno 2019, “nove anni e mezzo dopo la denuncia” sottolinea Strasburgo, annulla per vizio di motivazione e rinvia al tribunale civile.
Nel 2024 i giudici le danno ragione e condannano l’uomo a pagare un risarcimento di 268.403 euro perché “minacce e insulti hanno causato danni psicologici permanenti”.
Ma pure questa sentenza “potrebbe finire in Cassazione” e Strasburgo, citando la legge Nordio, conclude che “spetta allo Stato organizzare il sistema giudiziario per consentire ai tribunali
di soddisfare i requisiti Corte europea Censura al nostro Paese della Cedu”.
