Ci troviamo, cari lettori, in un’epoca in cui la proprietà non è più un diritto, ma un’illusione ben congegnata, un palcoscenico su cui recitiamo la farsa della nostra libertà, mentre dietro le quinte a muoversi e a decidere sono altri… i veri proprietari
Prendiamo il caso del nostro illustre “possidente”.
Vive in due magnifici palazzi, saloni affrescati e schiere di dipendenti, ma qui sta il colpo di scena, la beffa più grande, questi palazzi, così sfarzosi e imponenti, non sono suoi.
O meglio, lo sono sulla carta, nel senso temporaneo del termine.
Certo, la gente potrebbe ingenuamente pensare che, avendo la fortuna di abitare in cotanta magnificenza, lui possa anche decidere dove appendere quel delizioso quadretto con le anatre che gli ha regalato la zia Peppina.
O magari scegliere personalmente l’impresa di pulizie che si prenderà cura di questi lussuosi ambienti.
Ma la realtà, miei cari illusi, è ben diversa.
Il nostro “proprietario”, con la sua aria regale, elegante e il portafoglio leggero. quando si tratta di decisioni vere, è in realtà un mero esecutore.
Quasi come un prestigiatore che fa tira fuori il coniglio dal cilindro, quando in realtà il coniglio è già stato messo lì da qualcun altro, forse persino con un cartellino “made in China” sul dorso.
Perché, vedete, sebbene possa godere della bella “vista” dal balcone e del “comfort” degli arredi, tra le altre cose già presenti e scelte da altri, la vera, autentica, inappellabile proprietà risiede altrove.
In un’entità, diciamo, “una e trino”, una si palesa ad ogni occasione, per far notare che è il vero padrone, mentre altri preferiscono operare nell’ombra, come abili burattinai.
Desidererebbe ardentemente cambiare il colore di quella parete?
Beh, non può, se proprio vuole deve presentare una formale richiesta ai “soci”, le cui identità sembrano avvolte in un mistero degno di un romanzo di Agatha Christie, anche se in questo caso tutti sanno chi sono.
E il giardino? Quell’oasi di pace che vorrebbe curare con le proprie mani, scegliendo i fiori che più gli piacciono e rendono allegre le sue giornate, circondato da fiori a lui cari.
Invece deve accettare un giardiniere mandato e scelto da “loro”, magari con gusti botanici che non piacciono, armato di un tagliasiepi che sembra avere una sua opinione ben precisa su come debbano apparire le sue rose.
Persino per una banale perdita d’acqua dal rubinetto, l’iter burocratico è degno di un romanzo di Kafka.
Deve segnalare l’inconveniente al “referente” , il quale, presumibilmente, si consulterà con gli altri “azionisti” per decidere se e quando un “l’idraulico” farà la sua comparsa.
Nel frattempo, il ticchettio ritmico della goccia diventa la colonna sonora della sua “indipendenza domestica”.
Oh, certo, potrebbe insorgere, battere i pugni sul tavolo, ma quale tavolo, esattamente, quello scelto da “loro”? Potrebbe anche dire la sua su alcune cose, ma senza l’assenzo non può farlo. Potrebbe rivendicare il diritto di decidere con chi sedersi a tavola, di invitare la sua amica Filomena o Gesualdo, ma se, nel caso specifico si parla di posti a tavola, non se ne parla proprio, i posti vanno riserviti a chi “merita”.
Sa infatti che sarebbe una battaglia persa in partenza.
Le loro decisioni sono come leggi scolpite nella pietra, anzi, nel marmo di qualche ufficio nascosto.
Quindi sì, vive in due splendidi palazzi, godetevi pure l’invidia, ma sappiate che la sua libertà di appendere un semplice chiodo al muro è inversamente proporzionale alla metratura dei miei “possedimenti”.
E se sentite un vago rumore di catene, non preoccupatevi, è solo il tintinnio delle chiavi, che non ha.
Insomma, la vita del “proprietario” fittizio è un inno alla pazienza, una lezione di umiltà forzata.
È un monito per tutti coloro che credono che l’avere un “tetto sulla testa“, anche se sontuoso, significhi avere il controllo della propria vita.
Perché, in fondo, non si è mai veramente padroni di casa finché non si può scegliere neanche la marca del sapone per i piatti senza attendere l’approvazione.
E questa, cari lettori, è una verità che si chiama libertà, quella non ha prezzo, ma che si deve pagare se vuol abitare in belle dimore.
O forse sì, ma a deciderlo è ognuno di noi. Ad Maiora
