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“Ventotene non è la mia Europa” Meloni infiamma la Camera

Last updated: 20/03/2025 11:47
By Redazione 60 Views 8 Min Read
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La premier prende di mira il manifesto di Spinelli e Rossi, legge alcuni passi e scatena le proteste delle opposizioni. Seduta sospesa. Passa la risoluzione del governo sul riarmo

“Spero che quelli che erano in piazza del Popolo non l’abbiano mai letto perché l’alternativa sarebbe
spaventosa”

“Non mi è chiarissima l’idea di Europa a cui fate riferimento. Se questa è la vostra Europa certamente
non è la mia”

“È un simbolo del quale ho riletto i contenuti non capisco che cosa ci sia di offensivo nel leggere il testo”

“Non so se è questa la vostra Europa, ma di certo non è la mia”.
È un urlo che sfregia Ventotene, e quindi ottant’anni di antifascismo.
Lo pronuncia Giorgia Meloni nel silenzio attonito di Montecitorio.

Ieri, alle 12,15. Arriva dopo un’intemerata contro il manifesto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, i padri dell’europeismo, che il fascismo aveva confinato sull’isola, con altri ottocento, comunisti, anarchici, azionisti.

Meloni legge dei pezzi socialisteggianti del loro libro, scritto a mano nel 1941, e qui estrapolati per sfida alla sinistra.

“Guardate qui”, dice la premier, “cosa c’è scritto: lo leggo a beneficio di chi ci guarda da casa e per chi non dovesse averlo mai letto “.

Quindi inizia con le citazioni:
“La rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista; la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso…”.
È stata la piazza festosa promossa da Repubblica sabato scorso a indurla, nel dibattito sul Consiglio europeo, a fare a pezzi Ventotene.

Si stava parlando del riarmo. Dei dazi e del rapporto con Trump.

Poi arriva l’affondo: “Spero che quelli che erano alla manifestazione in piazza del Popolo non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa”.
La destra esulta come dopo un gol.

Il sottosegretario Mazzi platealmente applaude.
Negli scranni del centrosinistra esplodono le invettive. Dalle tribune si riconoscono Fornaro, Provenzano, Ascani, Quartapelle che agitano le mani, fischiano.

Il grillino catanese Filippo Scerra scende giù nell’emiciclo. C’è aria di tumulti.
“Fermi, fermi” prova a sterilizzare la protesta Meloni.
Ma Montecitorio ormai è un incendio.
È una scena istituzionalmente drammatica.
Un deputato di sinistra come Marco Grimaldi chiede la parola.
La sua voce trema. “Siamo indignati e offesi”, esordisce.
“Buuu”, fanno quelli degli scranni di destra.
“È un fatto gravissimo», insiste Grimaldi e quelli a destra ridono.
“Se siamo liberi lo dobbiamo anche a uomini come Spinelli e Colorni”, dà vita alla sua indignazione.
Giorgia Meloni lascia l’aula.
Prende la parola Federico Fornaro, un deputato che ha dedicato molti libri alla storia della Repubblica: “Usare in questo modo significa offendere la memoria di Spinelli, un padre dell’Europa, riconosciuto come tale in tutto il Vecchio Continente, e di Colorni, ucciso dai fascisti”.
Eugenio Colorni venne assassinato dalla milizia fascista nel 1944.
A destra ridono.
“Non è possibile essere derisi. Non è possibile! Non qui che è un luogo sacro della democrazia”, perde
la pazienza Fornaro. È un fascio di nervi. Suda. Trema.

“Erano confinati politici!», scandisce. “Si inginocchi, presidente Meloni, di fronte a questi uomini”. Quindi ripete tre volte “Vergogna. Vergogna. Vergogna”
Sopraffatto dall’emozione Fornaro scoppia a piangere.

Un parlamentare di 62 anni, alto e grosso. Con la testa tra le mani.
I cronisti sulle tribune prendono velocissimi appunti, azionano i loro smartphone, si guardano con incredulità.
Alfonso Colucci, M5S, cita le parole di Sergio Mattarella pronunciate a Ventotene.

Meloni è attesa poco dopo proprio al Quirinale, a pranzo con il capo dello Stato, in vista
del Consiglio europeo.
Giorgia Meloni è tornata al suo posto in aula.
“Non c’è spazio in quest’aula per il fascismo”, le urla Colucci.
Meloni si mette le mani sulla fronte. Ride, ma di un riso sconsolato.
Colucci: “E lei ride!”.
Anche Matteo Richetti di Azione usa la parola fascismo.

Il capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, gli urla: “Ma basta!”.
La seduta è sospesa.
Ma come spiegare l’uscita della premier? Come un gesto di pancia, di rivalsa verso la piazza. O c’entra
il fatto che la Lega, con Matteo Salvini e Riccardo Molinari, le ha ricordato che “non ha alcun andato
per approvare il Rearm Eu”.

Ventotene quindi è stata un’arma di distrazione di massa?
“Chi ha combattuto per la nostra libertà merita il nostro plauso” afferma il presidente della Camera
Fontana, a cui si erano rivolte le opposizioni.
Alle sette di sera con 188 sì, 125 no e 9 astenuti passa la risoluzione unitaria di maggioranza in vista
del Consiglio europeo.
Meloni è già a Bruxelles.

Non è pentita. “Ho fatto arrabbiare? Ho letto un testo. Non capisco cosa ci sia di offensivo”.

Alle origini dell’Unione federale

“Nel tetro inverno tra il 1940 e il 1941 proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme un manifesto per un’Europa libera e unita” e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista. Sei mesi dopo,
mentre gli eserciti hitleriani passavano di vittoria in vittoria, il manifesto era pronto”.
Così Altiero Spinelli avrebbe raccontato l’origine di un documento destinato a diventare il simbolo della ricostruzione democratica europea dopo la notte buia dei totalitarismi.
Militante fuoriuscito dal Pci, 34 anni, Spinelli; antifascista di Giustizia e Libertà, 44 anni, Rossi. Sono prigionieri entrambi nell’isola di Ventotene, insieme a ottocento oppositori puniti da Mussolini con il confino.
Di Spinelli è la motivazione storica e politica del Manifesto, di Rossi lo schema di riorganizzazione sociale ed economica.
Obiettivo dell’appello è l’istituzione di un’Europa federale, fondata sugli ideali di pace e libertà.

“Solo con una Europa libera e unita”, e “attraverso una rivoluzione socialista”, sarebbe ripartito «il processo storico contro le diseguaglianze e i privilegi sociali”.

Il nuovo Stato federale si sarebbe dovuto dotare di una propria forza armata e “di organi e mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati le sue deliberazioni”. Per costruire questo “solido Stato internazionale» sarebbe stato necessario un nuovo Partito Rivoluzionario Federalista. Idea “troppo rozzamente leninista”, avrebbe ammesso più tardi Spinelli.
Non privo di passaggi arditi, il Manifesto fu oggetto di accese discussioni dentro la stessa comunità antifascista di Ventotene, con accuse di leggerezza e velleitarismo rivolte agli autori. Sarebbe sopravvissuta però la sostanza europeista dell’appello, fonte di ispirazione per la cultura democratica nel lungo dopoguerra. Alla sua stesura partecipò anche il filosofo Eugenio Colorni, che
avrebbe contribuito a divulgarlo nella Roma occupata dai nazisti, poco prima di essere ucciso nel maggio del 1944 dalla banda Koch.
Per la circolazione fu prezioso il lavoro clandestino di Ursula Hirschmann, moglie di Colorni e futura sposa di Spinelli, e di Ada Rossi, moglie di Ernesto. Quella del Manifesto è anche la storia del loro coraggio.

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