La presidente della Commissione Europea: “Con J.D. ci siamo già visti a Parigi” La leader italiana aveva
parlato di “primo incontro”
Vice president, good to see you again!». Von der Leyen esordisce così. In un salottino di Palazzo
Chigi, sgombrato del mobilio abituale per far posto al tavolo ovoidale che ospita il terzetto, Giorgia
Meloni ha appena celebrato a favore di obiettivo il «primo incontro» tra un rappresentante dell’amministrazione Trump, il vice-Donald JD Vance, e il capo della commissione Ue.
Ma appena la parola passa alla popolare tedesca, dopo i ringraziamenti a «Giorgia» per l’ospitalità, ecco la puntualizzazione.
L’incontro non era il primo, detto in soldoni, ma il secondo. «Vicepresidente, sono felice di vederla di nuovo». Again, precisa Ursula. Che prosegue così: «Ci siamo già incontrati a Parigi, ora qui a Roma».
Parigi, parola tabù, per la cerchia della leader della destra italiana.
Il riferimento di von der Leyen è a un altro summit con Vance: l’11 febbraio, a margine dell’evento
sull’intelligenza artificiale organizzato dal presidente francese Emmanuel Macron. Non era stata una
fugace stretta di mano, tre mesi fa, ma un bilaterale vero, «per discutere delle relazioni» fra Bruxelles e Washington, con tanto di bandiere di Usa e Ue sullo sfondo.
E non è un convenevole, per von der Leyen, ricordarlo in premessa. Nemmeno un inciso. Tanto che pure nel tweet di commento al trilaterale romano, le versioni delle due leader non collimano.
Meloni insiste sul «primo incontro ». Mentre la presidente della commissione Ue ribadisce, nella prima riga, di essere «felice di avere incontrato JD Vance di nuovo». Again.
Non sono sfumature, nel linguaggio della diplomazia, anche se naturalmente tutta la macchina comunicativa di FdI spinge sul «capolavoro » riuscito alla premier «pontiera», come le riconosce Vance.
Fonti di maggioranza spiegano che non ci sono problemi di relazioni con von der Leyen, che per Meloni ha speso parole di elogio, anche ieri. Il punto è che il capo della commissione deve rispondere
a 27 governi. E non tutti, naturalmente, vogliono conferire a Roma un ruolo speciale, nella complicata trattativa sui dazi.
Tanto che l’idea originaria della premier di radunare nell’Urbe Trump, “VdL” e gli altri leader europei pare ormai definitivamente tramontata.
Secondo le stesse fonti, anche per rispondere a una richiesta di Bruxelles Meloni ieri ha ricordato che la «competenza sui dazi è della Commissione». Consapevole di queste difficoltà
con i partner Ue, Meloni scommette sul feeling con l’altra sponda dell’Atlantico.
Rapporto testimoniato dalla batteria di complimenti di cui la ricopre Vance tra gli stucchi di Chigi,
dopo quelli alla Casa bianca di Trump. Con The Donald Meloni si è sentita di nuovo.
E i tempi dello scambio sono un rebus. Palazzo Chigi, fino a ieri pomeriggio, non confermava
chiamate con Washington.
Poi, all’ora di cena, la notizia è stata battuta dall’agenzia Adnkronos. Ma la telefonata risale a due giorni fa. Cioè a sabato, all’indomani della call dei “volenterosi” a Tirana con il tycoon, dalla quale l’Italia era stata esclusa.
La chiamata trapela invece nel giorno in cui il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, annuncia che ci
sarà un’altra call con Trump, sempre con lo stesso formato, cioè con i leader di Germania, Francia e Regno Unito. Senza menzionare Meloni, che Merz ha incontrato solo sabato sera. In piena notte, su iniziativa britannica, la premier alla fine riesce a partecipare.
Del resto proprio con Merz aveva cambiato narrazione, dicendosi «disponibile».
Nella telefonata a due di sabato con il leader Usa, secondo fonti italiane, si è parlato lungamente di Ucraina, visto che Trump sentirà oggi Putin. E anche dei “volenterosi”, con Meloni che ha ribadito la sua posizione.
Nelle stesse ore di quella chiamata, la premier organizzava il trilaterale con von der Leyen e Vance. Discussione alla fine più politica che tecnica, per «riavvicinare» le posizioni sui dazi. Si è parlato anche di altro. Di difesa: gli Usa insistono sull’aumento degli investimenti europei. E naturalmente di Kiev.
Ma il clou restano le tariffe. Il governo spera che si arrivi a un accordo anche prima del vertice Nato di fine giugno.
Ma il negoziato, è il ragionamento di Meloni, «ora è nelle mani della Commissione».
Da laRepubblica