In politica, a tutti i livelli, dal consiglio comunale fino ai palazzi del governo, sembra che l’immagine abbia più peso della sostanza
Le decisioni, i programmi e persino le idee spesso passano in secondo piano rispetto alla capacità di comunicare, di presidiare i social network e di costruire una narrazione efficace.
Viviamo in un’epoca in cui la politica è filtrata dai media e dai social.
Ogni dichiarazione, gesto o fotografia diventa parte di un continuo sistema fatto di contenuti che devono catturare l’attenzione di cittadini sempre più distratti e disincantati.
In questo contesto, apparire non è solo un accessorio, ma una condizione fondamentale per dimostrare di esistere politicamente.
Chi non sa comunicare rischia di scomparire, indipendentemente dal valore reale delle proprie proposte e, se incapace, si fa “aiutare” da chi sa comunicare meglio, affidandosi ad un social media manager.
I leader oggi vengono giudicati non più per il tono della voce o i temi dei discorsi che fanno, ma dall’abbigliamento o dalla prontezza di propinare slogan, spesso privi di contenuti relai, e belle immagini.
Le campagne elettorali e le legislature si trasformano in una gara a chi riesce a colpire emotivamente, piuttosto che a chi presenta una visione reale o una più solida per il futuro.
Anche a livello locale, nei comuni o nelle regioni, contano maggiormente la visibilità e la costruzione dell’immagine pubblica.
Un’inaugurazione, un post sui social o un servizio fotografico pesano più di mesi di lavoro silenzioso, con la conseguenza che la sostanza rischia di restare invisibile, mentre il simbolico guadagna la scena.
Questa dinamica produce un duplice effetto. Da un lato si ha una politica che si adatta alla logica della comunicazione, quella breve e immediata, dall’altro ci sono i cittadini sempre più scettici che percepiscono l’enorme distanza tra le promesse e la realtà.
L’apparire insomma vince sull’essere, ma al prezzo di una crescente sfiducia.
La conclusione, amara, è che in un mondo iperconnesso, dove il consenso si misura in like e condivisioni, recuperare il primato dei contenuti reali sembra quasi impossibile.
Forse la vera sfida sta nel trovare un equilibrio, cioè usare l’apparire come una porta d’accesso, ma non come un sostituto dell’essere e del fare.
In questo palcoscenico, dove ogni gesto viene catturato da una foto da postare immediatamente sui social, a volte ciò che conta non è tanto chi sei o cosa fai realmente per la comunità in cui operi, ma come ti presenti e come vuoi apparire.
Molti problemi rimangono irrisolti, e a volte è persino noioso pensarci o ripeterli, visto che ci siamo talmente “abituati” a una situazione di degrado che, se notiamo meno erba del solito, meno immondizia per strada o qualche timido miglioramento, sembra quasi una vittoria di cui qualcuno non perde occasione per vantarsene.
“L’abito non fa il monaco”, ma per alcuni l’abito è tutto, almeno per chi si lascia affascinare da esso.
In politica, spesso è molto più vantaggioso puntare sull’immagine, quella che li fa sembrare quasi dei “modelli” che “sfilano”, per così dire, nei corridoi dei palazzi e agli eventi, dando l’impressione di essere pronti a risolvere i problemi con un sorriso smagliante e un look impeccabile.
I nostri eroi, scelti non necessariamente per le loro competenze, ma per la loro capacità di apparire presentabili o per i voti che portano alla causa, sanno bene che, una volta “acccomodatisi”, l’importante non è tanto cosa fanno, ma come indossano il loro bel vestitino.
Gli uomini sfoggiano camicie abbottonate fino all’ultimo bottone, giacca e cravatta, anche se ci sono 40 gradi, scarpe nere lucidate a specchio. Le donne, invece, indossano tailleur firmati, perché in fondo è giusto spendere i bei soldini guadagnati, almeno serve a far girare l’economia, sempre che spendano in città.
Seguire la moda è sicuramente una cosa positiva, ma indossare abiti o usare termini che non si addicono a chi ha una certa età può sembrare più un tentativo di rivendicare una gioventù ritrovata, come se si volesse dimostrare di essere pronti, energici e, ovviamente, all’altezza delle sfide quotidiane che il loro ruolo comporta, utilizzando spesso anche espressioni poco adatte al ruolo.
Parlando di stile, c’è un’altra categoria che merita di essere menzionata: i cosiddetti “parigini”, come alcuni amano chiamare i nisseni. Non perché abbiano la raffinatezza tipica dei francesi, ma piuttosto per il loro atteggiamento “sofisticato” e, in alcuni casi, un po’ altezzoso.
Si comportano come se fossero superiori, dispensando consigli e parole che spesso sono i primi a non seguire.
Guardano dall’alto in basso chiunque, secondo il loro metro di giudizio, non sia alla loro altezza, considerando che camminano venti centimetri dal suolo, vivendo in una bolla dorata di presunzione e superficialità.
L’unico merito che sembrano avere è il loro aspetto. “Guarda come si veste bene”, si sente dire, come se l’eleganza, pur necessaria e giusta, in politica fosse una virtù capace di risolvere i problemi.
In questo mondo di “fumo e specchi”, è un peccato che la sostanza stia diventando un optional.
Certo, è bello avere rappresentanti che si presentano bene e danno una buona immagine, ma sarebbe altrettanto importante che a quel bel vedere si accompagnasse anche un buon operato.
E a noi, poveri spettatori, non resta che ammirarli, disincantati, anche se delle volte ci scappa l’espressione “Arbulu di bellu vidiri e fruttu nenti“.
Perché, in fondo, se ci accontentiamo e limitiamo ad osservare solo l’aspetto esteriore, forse è perché anche noi, in fondo, tendiamo a preferire il superficiale alla sostanza, o magari, in un mondo che sembra andare a rotoli, un po’ di bellezza e eleganza, anche se priva di contenuto, ci fa sentire meglio e ci regala momenti di serenità…apparente. Ad Maiora
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