“La legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge.”
— Gesù di Nazareth, dal Vangelo secondo Marco (2:27)
Oggi il termine legalità è stato svuotato, usato come scudo da chi ha smarrito il senso della giustizia. È diventato il rifugio degli inerti, il travestimento degli ipocriti, il manifesto di chi, dietro l’apparenza della correttezza, perpetua ingiustizie e, troppo spesso, è lo scudo dietro cui si nascondono corrotti e manipolatori.
La legge è uno strumento, non un idolo. La sua funzione originaria è quella di porre un limite all’arbitrio, non di giustificarlo.
Può proteggere o reprimere, tutelare o soggiogare. È l’uso che se ne fa, non la sua esistenza, a determinarne il valore. E troppe volte, la storia lo ha dimostrato, l’orrore è stato perfettamente legale.
La storia ci insegna una lezione amara: le più grandi ingiustizie sono state perpetrate nel pieno rispetto formale della norma. Le leggi razziali del 1938, l’apartheid sudafricano, i gulag sovietici e persino l’orrore di Auschwitz operavano secondo regolamenti meticolosamente codificati. E oggi, sotto altri nomi, troppe procure tacciono davanti a soprusi ambientali, sociali, istituzionali. Anche questo silenzio è “conforme”. Ma non per questo è giusto
Norberto Bobbio distingueva con chiarezza: la legalità è un fatto, la giustizia un valore. Obbedire alla norma non è, di per sé, atto etico. Serve sempre chiedersi a chi giova, chi tutela, chi esclude.
Fin dall’Antigone di Sofocle, il conflitto tra norma positiva e imperativo morale superiore ha attraversato il pensiero occidentale. La protagonista sfida il decreto di Creonte non per spirito ribelle, ma perché riconosce l’esistenza di una legge più alta, quella “non scritta degli dèi”: ciò che oggi definiremmo coscienza etica.
Non c’è giustizia senza discernimento. Platone affidava il potere ai filosofi non per amor di gerarchia, ma per fiducia nella saggezza. Il diritto romano non venerava la legge come verità assoluta. E da Locke a Montesquieu, le norme nascono per frenare il potere, non per alimentarlo.
Hans Kelsen distingueva chiaramente tra diritto e morale, ma il Novecento ha dimostrato quanto pericolosa possa essere una norma formalmente corretta ma sostanzialmente ingiusta. Carl Schmitt, con il suo decisionismo, fornì il grimaldello teorico a ogni autoritarismo. La forma, da sola, è una trappola: una norma tecnicamente impeccabile può nascondere il volto dell’oppressione.
Quando qualcuno si trincera dietro la correttezza formale, quando brandisce le regole come unico orizzonte, è tempo di vigilare. Quell’atteggiamento rivela spesso non integrità, ma viltà. O peggio: nasconde dietro questa maschera un abuso sistematico del potere.
La democrazia non è un manuale di procedure. È una cultura viva fatta di diritti, responsabilità, coscienza. Ed è minacciata ogni volta che l’apparato amministrativo si trasforma in religione laica del formalismo, officiante impassibile dell’ingiustizia quotidiana.
Quando i mammasantissima del potere rivendicano di essere stati “a norma”, il tanfo è quello della codardia vestita da virtù.
Non esiste crimine peggiore dell’indifferenza burocratizzata. Assistiamo al triste spettacolo di soggetti che fanno il minimo indispensabile e si atteggiano a eroi, individui che di fronte a un’emergenza controllano prima se la richiesta d’aiuto è stata protocollata correttamente.
Siamo di fronte a una patologia: un’amministrazione che utilizza le regole non per servire i cittadini ma per proteggersi, per sopravvivere politicamente , trasformandole in una copertura sterile e autoreferenziale per difendere la propria posizione.
Una società che si regge esclusivamente sulla norma scritta, senza etica sostanziale, è una società senz’anima, pronta a giustificare qualunque abuso purché tecnicamente “corretto”.
L’apice dell’ipocrisia si raggiunge quando questi zelanti burocrati e politicanti invocano i nomi di Falcone e Borsellino per legittimare le proprie azioni nefaste. È un’operazione moralmente indegna: vengono strumentalizzati da chi tradisce quotidianamente i loro insegnamenti.
Chi erano davvero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Non sacerdoti della forma, bensì uomini della sostanza, dell’intelligenza investigativa, della concretezza etica. Erano uomini del dubbio metodico, della complessità interpretativa, del rigore scientifico.
La loro battaglia era diretta contro la criminalità organizzata, ma anche contro l’inerzia delle istituzioni, le carriere politicizzate, i boicottaggi interni. Non ostentavano il rispetto delle norme: lo praticavano, lo vivevano, ne soffrivano i limiti e le contraddizioni.
Chi oggi usa il loro nome per coprire la propria viltà commette un alto tradimento della memoria civile.
Benedetto Croce ricordava che la legge, da sola, non garantisce libertà né giustizia. È uno strumento, non una garanzia. E come ogni strumento, può essere manipolato.
Così, mentre l’apparato funziona in superficie, sotto si consuma il tradimento quotidiano dello spirito costituzionale: solidarietà, dignità, uguaglianza. Tutto sacrificato in nome della procedura.
L’efficienza normativa, senza giustizia sostanziale, può rivelarsi un ingranaggio spietato.
Anche il cinema ha offerto riflessioni profonde: in Minority Report, un sistema di prevenzione dei crimini, pur perfettamente conforme, si rivela profondamente ingiusto.
Una norma applicata senza discernimento può trasformarsi in un’arma contro la libertà.
Non si tratta di delegittimare la legge, ma di ricordarne il senso. La legalità cieca è conformismo. La giustizia vera richiede coscienza critica, coraggio, responsabilità.
Oggi, dire no a chi si nasconde dietro il formalismo per evitare la verità è un atto necessario. Non è ribellione: è fedeltà alla parte più nobile del diritto. Significa riscattarlo dal suo abuso.
Non tutto ciò che è conforme è giusto. Non tutto ciò che è giusto sarà mai conforme. Ma in questa tensione vive la speranza di un’umanità più consapevole.
Chi ha davvero lottato per la giustizia merita rispetto. Non celebrazioni vuote, non citazioni strumentali. Merita che la sua memoria resti viva nel gesto di chi, oggi, sceglie la sostanza oltre l’apparenza, il coraggio oltre la convenienza, la verità oltre la norma.
Giustizia è fare la cosa giusta. Legge è farla sembrare tale.
