In ordine sparso Starmer parla di negoziati con Usa, Russia e Ucraina e di altri 1,6 mld in missili anti-aerei. Ursula: “Riarmo della Ue”
“Siamo ad un bivio della storia. Non è più il tempo delle parole. Ora bisogna agire”.
Nella conferenza stampa che ha concluso il vertice internazionale sull’Ucraina, ieri a Londra, il
primo ministro britannico Keir Starmer cementa il suo status di pontiere fra Usa, Ucraina e Ue dopo la scazzottata verbale nello Studio Ovale che ha rotto i rapporti fra Trump e Zelensky.
Riassume la strategia in quattro punti: “Mantenere il flusso di aiuti militari e aumentare la pressione economica sulla Russia, per rafforzare l’Ucraina ora”; veicolare il raggiungimento di una pace duratura a garanzie di “sovranità e la sicurezza” dell’Ucraina, con Kiev al tavolo dei negoziati; anche in caso di accordo di pace, potenziamento delle capacità difensive ucraine “per scoraggiare qualsiasi futura invasione; infine creazione di una “coalizione dei volenterosi” per “difendere un accordo in Ucraina…E garantire la pace”.
È un manuale del si vis pacem para bellum: il messaggio esplicito è che di Putin non ci si può fidare ed è necessario incrementare lo sforzo bellico per garantire sicurezza a Kiev e all’Europa .
“Dobbiamo imparare dagli errori del passato. Non possiamo accettare un accordo debole come
Minsk, che la Russia può violare con facilità. Qualsiasi accordo deve essere sostenuto dalla forza”.
Per questo, Londra mette a disposizione 1,6 miliardi di credito agevolato all’industria militare di Belfast per la produzione di 5.000 missili di contraerea per Kiev.
E promette British boots on the ground and planes in the air, cioè truppe operative sul terreno e nella difesa aerea.
Sul piano diplomatico, annuncia che il Regno Unito, la Francia “ed altri”–ma non specifica
quali Paesi, e l’Italia di Giorgia Meloni non sembra fra gli entusiasti – “collaboreranno
con l’Ucraina su un piano per fermare i combattimenti… poi discuteremo quel piano con gli
Stati Uniti…E lo porteremo avanti insieme”.
Al vertice mancavano parecchi Paesi dell’Ue , in particolare Ungheria e Slovacchia che di sostenere l’Ucraina non ne vogliono sapere: ma c’erano la Nato, il Canada, la Turchia e la Commissione Ue.
Il diavolo è nel dettaglio: ogni Paese contribuirà come crede – anche con truppe – a questa “Coalizione dei volenterosi”.
Un riferimento particolarmente infelice, visto che il precedente è quello del gruppo di Paesi che, senza il placet Onu, attaccarono l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.
A margine del vertice la presidente Ue Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Unione deve aumentare di molto la spesa per le armi perché ‘è importante prepararci al peggio”.
Voci grosse, difesa dei valori occidentali, propositi bellicosi: l’impressione surreale è che il
summit sia una istantanea da un altro tempo, l’era Biden spazzata via dal ciclone Trump e sepolta dal pestaggio di Zelensky venerdì scorso.
All’ovvio scetticismo di una giornalista, Starmer replica che considera ancora gli Usa un partner affidabile, con Trump sinceramente interessato alla pace.
È vero, e Starmer vi fa riferimento più volte, che ci sono state telefonate con il presidente Usa: sembra suggerire che gli obiettivi del vertice siano stati condivisi.
Ma da Washington arrivano solo docce fredde; ieri il Segretario di Stato americano, Marco Rubio,
ha ribadito che l’obiettivo degli Usa è portare la Russia al tavolo delle trattative, ma il presidente
ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe compromesso questo sforzo insistendo sulla necessità di garanzie di sicurezza e mettendo in discussione il vicepresidente JD Vance.
E il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Mike Waltz ha ribadito che “sarà l’Europa ad occuparsi della sicurezza in Ucraina” e che “è prematuro parlare del ruolo degli Usa”, aggiungendo però: “Abbiamo bisogno di un leader che possa trattare con noi, eventualmente trattare con i russi e porre fine a questa guerra. E se diventa chiaro che le motivazioni personali o politiche del presidente Zelensky divergono dalla fine dei combattimenti in Ucraina, allora
abbiamo un grosso problema per le mani”.
A Londra Zelensky è stato ricevuto come un eroe di guerra, con l’onore di una udienza con re Carlo.
A Washington è un paria con un bersaglio sulla schiena.
Il primo punto per il negoziato potrebbe essere la sua testa.
Starmer poterà avanti il piano di pace. Ben venga un progetto condiviso, inutile sarebbe la solita
Europa con un paio di leader che decidono per tutti: “Da Francia e Regno Unito ci sono stati degli spunti.
Poi ci possono essere alcune perplessità su alcuni di questi, come sull’utilizzo di truppe”. Un percorso a ostacoli.
Anche perché con Washington resta irrisolto l’altro grande dossier, quello dei dazi:
“Siamo molto preoccupati – ammette la premier – È inevitabile che l’Europa risponderebbe
e si rischierebbe una escalation che indebolirebbe tutti ”.
Il margine per trattare con Trump però c’è, secondo Meloni: “Si possono trovare delle soluzioni, del resto parliamo di un dealer, di una persona che ama parlare di accordi”.
Fonte ilFattoQuotidiano
