L’Iran minaccia di bloccare lo stretto di Hormuz, mentre Israele va oltre la strategia della “decapitazione” del programma nucleare. Colpiti gli impianti di greggio di Bandar Abbas e del gas di South Pars (Giacimento condiviso con il Qatar)
Più la crisi tra Iran e Israele si aggrava, più sale il prezzo del petrolio. Una situazione difficile da prevedere che, oltre alle opinioni pubbliche mondiali, scuote il mercato degli idrocarburi. Questo perché le conseguenze degli attacchi tra i due Paesi, ed eventualmente il prolungarsi del conflitto, potrebbe portare “a un forte aumento del prezzo del petrolio”. L’attenzione si concentra sul Golfo di Oman, dove passa il 30% del petrolio mondiale. L’Iran, che ha già avanzato la minaccia a Stati Uniti e Israele, potrebbe ostacolare la navigazione nello stretto di Hormuz. Una scelta che metterebbe in crisi i maggiori esportatori di petrolio, e non solo: Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Oman ma che paradossalmente faciliterebbe la Russia di Vladimir Putin, che potrebbe trovare respiro economico nell’export di greggio: ovvero la principale fonte di entrata per Mosca.
L’Iran ha già minacciato di bloccare lo stretto di Hormuz, esercizio che avrebbe ripercussioni immediate sull’approvvigionamento energetico globale. Per l’Europa – e ancor più per l’Italia – il rischio è diretto: quote fondamentali di “Oil & Gas” transitano proprio da lì. Ogni alterazione di quel passaggio marittimo si traduce in instabilità economica e vulnerabilità energetica. A gravare ci sono anche gli Houthi dello Yemen, un’incognita satellite filo-iraniana che nel Mar Rosso sono specializzati in attacchi al trasporto marittimo.
Così i prezzi del petrolio sono ancora in rialzo sui mercati asiatici, un incremento che va a sommarsi all’aumento del 13% della scorsa settimana, con una progressione che rischia di trasformarsi in un’ondata inflazionistica che, se sostenuta, renderà la Federal Reserve ancora meno propensa a tagliare i tassi di interesse. Il West Texas Intermediate sale dello 0,95% a 71,97 dollari al barile, le quotazioni del Brent segnano un +0,78% a 74,82 dollari. Più caute le borse europee. Il mercato appare ottimista, ma nonostante ciò gli investitori guardano con apprensione un coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto. Il presidente Donald Trump considera aperta la possibilità.
Resta anche il fatto che l’Iran è un importante produttore di petrolio nonché esportatore. Il principale acquirente di energia dalla Repubblica Islamica sarebbe Pechino (Dal 2022, la Cina non ha più segnalato ufficialmente acquisti di petrolio iraniano), che nel 2023 facilitò il disgelo tra Iran e Arabia Saudita. Anche questa volta, nello scontro con Israele, i cinesi sono già in campo diplomaticamente per raffreddare gli animi. Sforzi al momento inutili, Netanyahu sembra determinato ad andare avanti. Oltre alla minaccia nucleare, gli israeliani vogliono fiaccare l’economia iraniana: colpiti gli impianti di greggio di Bandar Abbas e del gas di South Pars (Il più grande giacimento di gas al mondo condiviso con il Qatar).

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