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CronacaRiflessioni

“Lu minchiuni non si canusci quanno nasci, ma si canusci quannu crisci”

Last updated: 05/07/2025 7:07
By Sergio Cirlinci 124 Views 6 Min Read
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Tradotto per i non iniziati: “Lo stupido non si conosce quando nasce, ma quando cresce.” E diciamocelo, qui in Sicilia, di “minchiuni” ne abbiamo visti fiorire come i limoni, in ogni angolo e in ogni strato sociale

A Caltanissetta, complice il caldo cocente di luglio, abbiamo preso spunto da questo detto per riflettere su un detto che più siciliano non si può.

La saggezza popolare si concentra in poche parole, ma rendono bene l’idea.

Quando un neonato viene al mondo, è un insieme di innocenza e speranza.

Chi potrebbe mai pensare che quel piccolo essere urlante, in futuro possa essere l’artefice di disastri quotidiani?

Eppure, il tempo è un galantuomo, e il “minchiuni”, termine che vale anche per il gentil sesso, ma che con tutto il rispetto usiamo con un’affettuosa punta di ironia, non tarda a rivelarsi.

Non è questione di grandi catastrofi, tranquilli. Spesso, la sua vera natura emerge soprattutto nelle piccole cose, nei dettagli che sfuggono all’occhio distratto ma che, sommati, dipingono un quadro sconfortante e disarmante, davanti al quale si resta basiti…”cadinu i vrazza in terra”.

Anche perché da certe persone, non te lo saresti mai aspettato, ritenendole di miglior qualità e spessore.

Parliamo anche di quelle puerili ripicche, magari come fa il bambino con un giocattolo, “è mio”, o per un parcheggio conteso, “l’ho visto prima io”, il far finta di nulla e scavalcare una fila, insomma situazioni di vita quotidiana ma che “pesano” la persona specialmente se ha un certo ruolo nella società e che al contrario, dovrebbe comportarsi bene, essere da esempio, e in caso di discussioni, elevare il livello del dibattito e non abbassarlo al livello delle discussioni da asilo nido.

Gente che magari siede in poltrone importanti, che prendono decisioni che influenzano la vita di molti, e poi si perdono in un bicchier d’acqua, o meglio, in una pozzanghera di rancore estupidità.

Queste non sono semplici mancanze o errori occasionali, sono la manifestazione quotidiana di quello che realmente si è e non quello che si vuol far credere di essere, una sorta di mancanza di “cervello fino”.

E il danno che questi personaggi recano alla collettività non è dato solo nell’assistere ad atteggiamenti sbagliati, ma dall’erosione dell’idea che di quella persona ci si era fatti, insomma la delusione di averli sopravvalutati.

Ma la cosa più affascinante, nel triste spettacolo del “minchiuni” in azione, è che raramente cammina da solo.

No, è sempre in buona compagnia. Un esercito di fedelissimi, di yes-men, di annuitori seriali che pendono dalle sue labbra, gente che, con la speranza remota di accaparrarsi qualche briciolo di beneficio personale, è disposta a tutto, anche ad applaudire atteggiamenti, frasi o idee ridicole, pronte a giustificare l’ingiustificabile, a eseguire ordini che rasentano l’assurdo.

E qui, amici miei, si apre un quesito esistenziale che fa tremare le vene ai polsi.

Chi è più “minchiuni” del “minchiuni” stesso?

Colui che, pur avendo il cervello per capire l’imbecillità della situazione, sceglie di far finta di niente, di abbassare la testa, di diventare complice, pur di non perdere una briciola di quel presunto “beneficio”

Forse questi gregari, anche se dotati di una maggiore lucidità e intelligenza, sono in realtà più “minchiuni” perché sacrificano la propria dignità e la propria intelligenza sull’altare di un tornaconto sperato.

In fondo, il detto siciliano ci ricorda una scomoda verità. L’idiozia non è una condizione transitoria dell’infanzia, ma una caratteristica che si consolida con l’età e l’esperienza e se il “minchiuni” di turno è un problema, la sua “corte” è un sintomo ancora più preoccupante di una società che, a volte, sembra tollerare e persino premiare la stupidità, a discapito del merito e della competenza.

E allora, mentre ci godiamo una granita al limone, continuiamo a osservare, a sorridere amaramente e, magari, a sperare che un giorno, il “minchiuni” e la sua allegra combriccola imparino, se non la saggezza, almeno l’arte di tacere per non farsi notare.

O, ancora meglio, che la società impari a riconoscerli e, con gentilezza ma fermezza, a metterli dove meritano, in un angolo, ai margini della società, in modo che se la cantino e se la suonino da soli e soprattutto non rechino alcun danno.

Ma il fenomeno “minchiuni” è ahimè così radicato che non resta che farci ironia. Ad Maiora

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