“Trasparenza amministrativa” ciò che in realtà è opacità strategica
Esistono opere letterarie che si leggono per diletto intellettuale, altre che si consultano per necessità formativa, e poi vi è 1984 di George Orwell, un testo da assimilare per mera sopravvivenza esistenziale. Si incide nella propria coscienza come un antidoto alla menzogna.
Lessi Orwell da adolescente, quando ancora il mio sguardo sul mondo era limpido, privo delle ombre del disincanto.
Credevo ingenuamente nei principi di legalità, nella trasparenza istituzionale, nell’idea che lo Stato operasse per la tutela del cittadino.
Convinzioni che la realtà si incaricò ben presto di demolire.
Fu il sistema stesso con i suoi meccanismi perversi e i suoi giochi di potere orchestrati a mie spese a svelarmi la verità. Il motivo? Il mio errore?
Aver rifiutato di allinearmi alle loro distorsioni, non essermi piegata alla logica della sottomissione, non aver accettato il paradigma di un potere che premia l’obbedienza cieca e punisce chi osa difendere i propri diritti.
Imperdonabile la mia convinzione che questi ultimi non fossero concessioni da elemosinare, ma prerogative inalienabili.
Orwell non scrisse una distopia, ma un manuale di autodifesa.
Chiunque si avventuri negli ingranaggi della burocrazia scopre presto che non ha di fronte un’amministrazione al servizio della collettività, ma una macchina di potere capace di soffocarli i diritti, manipolare le regole e consolidare il potere dei soliti noti.
Uno dei capisaldi del sistema orwelliano è la neolingua, un sofisticato strumento linguistico di manipolazione, che annienta parole e concetti potenzialmente sovversivi per soffocare il pensiero critico.
Oggi, tale meccanismo si è evoluto in forma ancora più subdola: non si limita a distorcere il linguaggio, ma trasforma l’intero apparato burocratico in un’arma di controllo e repressione.
Chiamano “trasparenza amministrativa” ciò che in realtà è opacità strategica .
Chiedere un’autorizzazione, un certificato, persino un diritto elementare equivale a perdersi in un labirinto senza uscita.
Richieste ignorate, tempi indefiniti, procedure usate come scudi pretestuosi per ostacolare il cittadino.
Fino a quando questi, stremato, rinuncerà o, peggio, capirà il vero messaggio: ecco il ricatto: senza la giusta intercessione o il giusto favore, nulla si muove. E quando, dopo mesi o anni, un diritto viene finalmente riconosciuto, lo faranno sembrare un atto di magnanimità.
Tale concessione è spacciata come un favore, non come un atto dovuto. Per legge.
Ma l’uso spregiudicato degli strumenti amministrativi non si limita a complicare la vita ai cittadini.
È un meccanismo ben più sofisticato, concepito per consolidare clientele e perpetuare il controllo del potere. Bandi pubblici calibrati per premiare amici e sodali, fondi distribuiti con criteri arbitrari, autorizzazioni fulminee per alcuni e negazioni a oltranza per altri.
Un ostruzionismo selettivo, celato sotto il velo della legalità apparente. I funzionari infedeli non si limitano all’inerzia. Agiscono con spregiudicatezza, con un disprezzo sistematico delle norme, certi di un’impunità consolidata.
Usano la macchina amministrativa per soffocare i dissenzienti, rallentano pratiche per punire chi non si piega, concedono benefici a chi è allineato e ostacolano chi osa opporsi. E se qualcuno si azzarda a chiedere conto di queste distorsioni, la rappresaglia è immediata: controlli mirati, cavilli burocratici, accertamenti pretestuosi, per logorare i cittadini onesti.
Nel Ministero della Verità di Orwell si riscriveva il passato per controllare il presente.
Qui, semplicemente, si ignora. Le denunce spariscono nei cassetti, le autorità restano immobili, i responsabili si proteggono l’un l’altro in una rete di complicità e silenzi.
È la trasposizione burocratica dell’omertà: non servono minacce, basta far cadere tutto nel nulla. Chi dovrebbe garantire il rispetto della legge la usa come un’arma selettiva contro i cittadini.
La giustizia diventa una chimera, le regole strumenti di oppressione.
Il cittadino non viene represso con la forza, ma con l’esasperante lentezza di una macchina che corrode, isola e logora.
È una mafia senza pistole, ma altrettanto letale. Si nutre di silenzi, complicità e di un potere amministrativo asservito agli interessi di pochi.
Ma, come ogni costruzione umana, ha avuto un inizio e avrà una fine.
La sua più grande paura è la determinazione di chi rifiuta di piegarsi, di chi non accetta di stare in silenzio.
Nel frattempo, gli artefici di questo sistema si godono il privilegio dell’impunità. Finché dura.
Nella mia giovinezza, 1984 mi sembrava un’oscura profezia. Oggi mi appare quasi ottimista: almeno nel romanzo il nemico era identificabile.
Questo sistema invece, si nasconde dietro situazioni assurde, all’apparenza ammantate di legalità, incomprensibili finché non se ne resta vittima.
Tale sistema può logorare, ostacolare, isolare. Ma non può fermare chi resiste, chi si rifiuta di chinare la testa, chi continua a denunciare e a lottare.
Le dittature crollano, i regimi si sgretolano, i sistemi corrotti vengono smascherati. Così sarà anche questa volta.
Il castello di menzogne e abusi inizia a cedere, perché la storia insegna che anche il potere più radicato ha un punto debole: la verità non è fatta per restare nascosta. Se il sistema si nutre del silenzio, la resistenza inizia con la parola.
E la denuncia è l’inizio della loro fine.
