È una massima dura, ma racchiude una verità profonda per chi ha a cuore l’istinto di sopravvivenza, il proprio, ed in questo caso, la sopravvivenza politica.
Questa metafora, che potremmo definire di “schettiniana” memoria, trova una delle sue applicazioni più calzanti e ciniche nel mondo della politica, dove il vascello del partito non è minacciato da iceberg o scogli, ma da calo di consensi, indagini giudiziarie o scandali clamorosi.
Quando le acque si fanno agitate e il rischio di naufragio si avvicina, si assiste puntualmente al fenomeno de “fuggi fuggi” di quei membri, spesso i meno ideologicamente allineati e più inclini all’opportunismo, che abbandonano la nave in difficoltà.
Non lo fanno di certo i “marinai” fedeli, pronti a rischiare l’affondamento con il loro comandante, ma piuttosto i “calcolatori” che, con sorprendente prontezza, trovano una crepa dalla quale uscire e un salvagente da afferrare, forti anche della loro esperienza in materia di “salvataggi”.
Nonostante la paura e la brutta figura dell’ennesima fuga, alla quale andrebbero incontro, l’idea di abbandonare definitivamente la scena politica in questi personaggi è un’ipotesi mai considerata nè tantomeno mai pensata.
Per loro, la politica non è un servizio, è una malattia cronica, una dipendenza, per visibilità e potere, ma anche per lo stipendio e i privilegi che la poltrona offre, anche fuori dai palazzi.
Dopo aver “navigato” in molti mari, adesso che la nave rischia di affondare, come naufraghi cercano di aggrapparsi al primo detrito galleggiante.
Sarà nostalgia o vero sentimento?
A volte, tornano nel vecchio porto cavalcando l’onda emotiva legata a figure carismatiche del passato, “il sentimento verso colui che non c’è più”, per rendere il tutto più toccante.
Ma probabilmente è solo puro tornaconto, una motivazione materiale, con l’unico vero obiettivo di rimanere attaccati a una comoda sistemazione che, in fondo, sanno essere stata un miracolo, non meritocratico, politicamente parlando, ma quasi, essendo amanti della astrologia, sanno essere una convergenza astrale che non va sprecata.
Il ciclo degli opportunisti è l’immancabile riciclo.
Il loro “riciclo” è pero unico nel suo genere, perché non si tratta di quella pratica ecologica che tutti lodano per salvaguardare il pianeta, ma piuttosto di un attento processo di autoconservazione che ha come obiettivo principale il proprio guadagno economico e il soddisfacimento dell’ego smisurato.
Questi politici sono dei veri esperti nel cambiare schieramento, adattandosi strategicamente ai venti elettorali, alle questioni giudiziarie e alle correnti di potere.
La loro bussola, che vorrebbero far credere puntata verso il bene della collettività, è invece puntata verso l’unico porto sicuro che conta, la loro personale sopravvivenza all’interno del sistema.
Ma il vero dramma di questa situazione non è tanto la loro “mobilità politica”, che in pochi non notano, o fanno finta, quanto il fregarsene del valore morale e politico dovuto al loro opportunismo e cercando di prendere in giro, oltre ai cittadini, anche i colleghi politici credendo di darla a bere pure a loro.
L’effetto più devastante di questi continui “salti della quaglia” e del riciclo dei politici è la sistematica distruzione della fiducia tra elettori ed eletti.
Gli elettori si rendono conto, ancora una volta, che le ideologie e i programmi sono solo scuse e la facilità con la quale un politico cambia idea, per pura convenienza personale, svuota di significato il concetto stesso della rappresentanza e del voto.
Così continuando non si fa altro che alimentare un “rifiuto” nei confronti dell’intera classe politica, rafforzando l’idea che tutti siano interessati solo al potere e al denaro, quando invece non lo è.
Purtroppo, questa sfiducia non colpisce solo i politici opportunisti, ma finisce per coinvolgere l’intera classe politica, infatti poi si generalizza, con la conseguenza più evidente e immediata che è l’aumento dell’astensionismo.
Gli elettori, sentendosi traditi o convinti che il loro voto non serva a nulla e che non possa influenzare un sistema dominato dall’opportunismo, decidono di non partecipare.
Oppure, per reazione, votano per gli anti-sistema, visti come l’unica via per “punire” il trasformismo, sempre che non si ritrovino poi ad essersi affidati a qualcuno che si dimostri di essere ancora peggio, indossando magari disinvoltamente due scarpe diverse, una rossa e una blu.
Ma finché la “malattia della poltrona” continuerà a prevalere sulla fedeltà, sui principi di onestà, lealtà, correttezza, rispetto delle leggi e di coloro che li hanno votati, una certa politica rimarrà sempre un rifugio per gli “schettiniani”, piuttosto che diventare una vera scuola di lealtà e servizio per la collettività che, spesso sapendo la loro vera natura continua a votarli sperando nel “favore”, che in fondo altro non sarebbe che un sacrosanto “diritto”.
Oggi non serve indignarsi, arrabbiarsi, rammaricarsi, serve pentirsi di aver votato certa gente, serve usare bene la “matita” al momento giusto, che diventi una “gomma” per cancellarli definitivamente dal panorama politico.
“In fondo, a pensarci bene, la soluzione è molto semplice: BASTA NON VOTARLI PIÙ
Ad Maiora.
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