Da ilFattoQuotidiano di Mario Portanuova
“Il diritto di essere informati? Ve lo stanno rubando senza che ve ne accorgiate ”.
E se lo dice Caterina Malavenda c’è da allarmarsi sul serio. Avvocata, fra i massimi esperti di diritto
dell’informazione, quarant’anni di battaglie in tribunale per difendere giornalisti accusati di diffamazione e non solo, ha concluso così il suo intervento alla Festa del Fatto nel dibattito sul “Gionalismo d’inchiesta sotto inchiesta”.
Qualche esempio? “Il diritto all ’oblio, la privacy, la presunzione d’innocenza” che limita fortemente la diffusione dei nomi delle persone coinvolte in indagini giudiziarie.
Nobili principi, ma tradotti nella legislazione e nella pratica italiana sono diventati strumenti affilati
per fare a brandelli il giornalismo d’inchiesta, quando non la pura cronaca.
Ne sa qualcosa Sigfrido Ranucci, conduttore di Report e vicedirettore dell ’Approfondimento.
Negli ultimi anni il programma di punta del giornalismo investigativo nella tv pubblica ha subito
pressioni e azioni legali di ogni genere, oltre alle classiche querele: ricorsi al Garante della Privacy, appunto, e persino al Tar, come ha fatto un avvocato che pretendeva di conoscere le fonti di un’inchiesta sulla Lega, dato che la Rai è un’azienda pubblica.
“La politica non accetta il contraddittorio, evita le domande”, ha affermato Ranucci.
Così la ministra Daniela Santanchè resta (ed è fatta restare) serenamente in carica “anche se l’uso indebito di fondi pubblici è stato appurato e i soldi sono stati persino restituiti”.
Quando Report ha calcolato che il 50 per cento dei politici arrestati per mafia negli ultimi anni militavano in Fratelli d’Italia, “siamo stati querelati dal partito, caso penso unico. Che ha affidato il conteggio a un soggetto esterno e ha replicato che in realtà erano solo il 20 per cento”.
Ranucci condivide l’allarme di Malavenda: “Mi preoccupa il silenzio che circonda questi fatti. L’informazione va difesa, ci stanno sfilando la memoria, la conoscenza. Ci stanno portando verso l’oblio di Stato. E la responsabilità non è soltanto dell ’attuale governo”.
Oblio sulle malefatte dei potenti, ma la coltre si stende poi su temi fondamentali nella vita quotidiana di tutti noi: il lavoro, l’ambiente, la sanità, l’abitare… “Il giornalismo dovrebbe smascherare il linguaggio imbroglione” secondo Gianni Barbacetto del Fatto Quotidiano, che ha cominciato a lavorare sul “caso Milano” (Contro Milano è il suo libro pubblicato da Paper First) non sull ’onda di inchieste giudiziarie, ma ragionando su parole come “rigenerazione urbana”, “ristrutturazione”, che nella città dove il mattone vale oro nascondevano la costruzione di nuovi palazzoni e grattacieli, ai danni dei cittadini e a beneficio dei costruttori (“Costruttori non si può più dire”, ha ironizzato Barbacetto, “bisogna dire sviluppatori”).
Anche lui, come sanno i lettori del Fatto , ha subito un’azione legale con pochi precedenti:
la giunta di Milano ha deliberato un’azione civile nei suoi confronti, perché sui social poneva la domanda se le condizioni particolarmente favorevoli per i costruttori – pardon gli sviluppatori – non nascondessero pagamenti indebiti.
Dopo il primo arresto per corruzione nell’inchiesta sull ’urbanistica, la giunta di Beppe Sala si è riunita per “sospendere ” la delibera precedente.
“E io che pensavo mi volessero chiedere scusa”, ha commentato Barbacetto. “La giunta mi ha preso la mira. Non ha querelato Il Fatto, dove avevo scritto le stesse cose, ma il singolo giornalista”.
Intorno al giornalismo d’inchiesta è mutato –in peggio –il clima.
“Un tempo i giornalisti erano considerati autorevoli”, ha spiegato Caterina Malavenda, che affronta questi temi nel suo recente libro E io ti querelo (Marsilio). “Oggi c’è più disincanto, i giudici percepiscono che dell’informazione importa poco, spingono le parti a transare per chiudere il prima possibile, anche di fronte a querele evidentemente infondate se non temerarie”.
Le fonti sono sempre meno tutelate, dunque sempre meno incentivate a rivelare misfatti.
“I magistrati arrivano a sequestrare pc e smartphone. Poi magari la Cassazione dice che non potevano farlo. Ma intanto le informazioni sono acquisite”.
Da ilFattoQuotidiano di Mario Portanuova
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