Un patto di potere tra tra le élites politiche le grandi banche e il nuovo capitalismo che investe sulle armi
Il “Piano di pace” (chiamiamolo così) dell’Unione europea per l’Ucraina è tutto meno che un serio piano di pace.
Porre come condizione pregiudiziale «la restituzione di tutte le terre occupate» (evidentemente compresa la Crimea), significa giocare sporco. Peggio.
Vuol dire prepararsi un alibi per giustificare l’enorme esborso di risorse, che saranno sottratte ai cittadini per finanziare la continuazione di una guerra che i popoli del mondo vorrebbero che fosse chiusa.
Risorse che saranno inevitabilmente sottratte alla spesa sociale: sanità e pensioni in primis
(fonte Financial Times).
Questi soldi sono la risultante di un patto di potere, tra le incartapecorite élites politiche, il vecchio capitalismo finanziario (grandi banche) e il nuovo capitalismo fatto di aziende tecnologicamente
avanzate, ad alto valore aggiunto, che producono anche e soprattutto per la difesa.
Aziende che per fare profitti hanno bisogno di guerre.
E se non ci sono soldi sufficienti, poco male.
L’Unione Europea è pronta a mettere nuove tasse “mascherate” e a scaricare sulle spalle delle future generazioni, in deficit, il peso di un massiccio e insensato riarmo.
Giustificato solo dalla presunta minaccia di una potenza, la Russia, che spende da 4 a 5 volte meno
del solo Vecchio continente, in quanto a impegno per la difesa (dati ufficiali del Sipri di Stoccolma). E almeno da 8 a 10 volte di meno di quanto attualmente spendano gli Stati Uniti.
Quindi, diciamolo francamente, se gli riesce il colpo, col “ReArm” un’intera classe politica europea, mediocre e carrierista, penserà di avere ancora carte da giocare per restare aggrappata in qualche
modo alla poltrona.
La disgrazia dell’Ucraina e le ritirate strategiche di Trump possono diventare, paradossalmente,
un’opportunità da cogliere al volo.
Sarà possibile, infatti, spendere un botto di soldi (dei contribuenti europei) per cannoni e bombarde, senza sforare i “sacri patti di stabilità”.
E i più assatanati in questa corsa all’indebitamento per sfoggiare il carro armato all’ultima moda,
sono (guarda tu!) i tedeschi.
Certo, va ricordato che l’Unione Europea è nata con un cuore mercantile.
E si è sempre portata appresso questo peccato originale.
L’allargamento a tappe forzate, poi, ha coinciso con una vera crisi del cosiddetto processo di “decision making”, rendendo il blocco un organismo sempre più iperburocratizzato e poco omogeneo.
Ma soprattutto un organismo senza una politica estera e di difesa comuni.
Ogni Paese ha giocato su più tavoli, con una “asimmetria” diplomatica che lo ha portato sempre a fare quello che gli conveniva a livello nazionale, come la Francia. Evitando così di impegnarsi seriamente in un progetto di “esercito europeo”.
In fondo, fino all’invasione dell’Ucraina, nessuno aveva mai seriamente pensato in Europa di riarmarsi massicciamente.
È cambiato tutto con la quasi-sconfitta dell’Occidente dopo tre anni di guerra e, soprattutto, con l’arrivo di Trump.
Ma, al solito, alla fine di ogni discorso, sono i numeri a far capire da quale parte stia la verità.
Il Sipri, l’autorevole istituto svedese per lo studio della pace, dice: «I ricavi combinati delle più grandi aziende produttrici di armi e di servizi militari del mondo (le Sipri Top 100) sono aumentati del 4,2 percento nel 2023, raggiungendo i 632 miliardi di dollari ».
Nel2024 hanno avuto un’ulteriore impennata, avvicinandosi ai 700 miliardi di dollari.
Tuttavia, questa è solo una parte della vendita di armi globale, perché si riferisce, appunto, solo a un centinaio di grosse società.
A scorrere l’elenco, si nota subito che la parte del leone viene fatta dalle aziende occidentali.
La temuta Russia ha solo due grandi imprese che producono armamenti (come l’Italia).
Gli americani ne hanno ben 40, con una capitalizzazione mostruosa. I cinesi crescono: 9aziende. Ultimo, con 4, il prossimo Cancelliere-feldmarshall, Herr Merz.
La sua Germania ne fa 4 (per ora), ma con la Rheinmetall è pronta a riempire di carri armati di qualità (e a buon prezzo) tutta l’Europa. Isole comprese.
Da La Gazzetta del Sud

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