L’ennesimo rinvio ha rappresentato l’ultimo strappo.
È uno scontro istituzionale senza precedenti quello che si è consumato tra la Regione siciliana e la Corte costituzionale.
Perché mentre l’Ars approvava ancora un rinvio delle elezioni di secondo livello nelle ex Province, la Corte costituzionale accoglieva un nuovo ricorso, presentato dal Comune di Enna, su quattro diversi decreti di proroga dei commissari nei Liberi consorzi.
Dichiarando incostituzionale e fuorilegge il rinvio del voto negli enti di area vasta.
Per i giudici la misura è colma. Il clima che filtra dalle retrovie della Consulta è di altissima tensione.
Il Pd chiede di fermare la pubblicazione della legge. La Regione fa spallucce.
Da Palazzo d’Orleans filtra che la pubblicazione della legge di rinvio delle elezioni è «un atto dovuto, sottratto a qualunque discrezionalità del presidente».
Più esplicito l’assessore alle Autonomie locali Andrea Messina: «Non si può andare contro la volontà del Parlamento.
Da parte nostra accelereremo nel disegno di legge sul ritorno alle elezioni dirette, ma in caso contrario dopo la sessione di bilancio indiremo le elezioni di secondo livello».
Insomma, accelerazione, sì, ma senza fretta. Il segretario del Pd Anthony Barbagallo parla di «atteggiamenti di natura eversiva».
E il costituzionalista Agatino Cariola indica una exit strategy. «In astratto, Schifani potrebbe ritardare di otto giorni la promulgazione e nel frattempo l’Ars potrebbe approvare una nuova legge.
Ma stiamo parlando di una artificiosità giuridica che si renderebbe necessaria per questo disordine istituzionale che si è creato».
E se, invece, nessuno cercasse di ricucire lo strappo tra la Regione e la Consulta? «Il governo nazionale — è l’altro scenario che prova a immaginare il costituzionalista potrebbe impugnare la legge approvata appena qualche giorno fa e la Consulta potrebbe sospenderne l’efficacia.
A quel punto, sempre col condizionale, riprenderebbe efficacia la legge dell’agosto scorso, sulla base della quale sono state fissate le elezioni del 15 dicembre».
Insomma, come in un Monopoly, la magistratura costituzionale potrebbe rimandare la Regione alla casella del “Via”.
Perché la Consulta, nell’accogliere il ricorso, ribadisce quanto già detto in una pronuncia del luglio 2023, ma si esprime anche su una norma approvata dall’Ars lo scorso anno, promulgata il giorno prima di quella pronuncia.
In una rincorsa continua tra i giudici costituzionali che dicono alla Sicilia che non si può più attendere, e la politica che scappa ancora dalla convocazioni dei seggi elettorali.
Non a caso, i giudici sottolineano come i «continui rinvii delle elezioni abbiano sinora impedito la costituzione degli enti, prorogando gestioni commissariali incompatibili con la loro natura di enti territoriali autonomi».
Un pasticcio da cui nel centrodestra c’è chi si smarca. «Non stiamo dando una bella immagine», sbotta il leghista Nino Minardo, mentre per l’eurodeputato forzista Marco Falcone «questo balletto normativo non sta facendo gli interessi dei siciliani che, invece, ci chiedono di rimettere in piedi le Province affinché tornino a occuparsi di strade provinciali, scuole, welfare».
Davanti a questo stallo, il colpo di mano potrebbe arrivare proprio dai giudici.
Che potrebbero ripristinare l’elezione di secondo livello per il 15 dicembre