Tutti tentativi sono andati a vuoto.
Neanche i super esperti nominati dalla procura di Caltanissetta sono riusciti a recuperare il contenuto delle 24 pen drive distrutte da Antonello Montante la mattina del suo arresto, il 14 maggio del 2018, a Milano.
E adesso che la Cassazione ha fatto cadere un pezzo dell’inchiesta nei confronti dell’ex paladino
della legalità di Confindustria la domanda torna insistente: cosa c’era in quei supporti informatici?
Non è solo una domanda per gli appassionati di cold case.
La sesta sezione della Cassazione presieduta da Giorgio Fidelbo ha stabilito che Montante non fu a capo di un’associazione a delinquere, l’imprenditore è stato ritenuto responsabile solo di singoli casi di corruzione e accesso abusivo a un sistema informatico.
Per la Suprema Corte non ci sono le prove evidenti che invece avevano visto i giudici di primo e secondo grado.
Le prove di una rete di relazioni pericolose dentro i palazzi delle istituzioni.
Sembrava una certezza acquisita di questo caso giudiziario.
E, invece, la Cassazione ha annullato senza rinvio, il nuovo processo d’appello si farà solo per rideterminare la pena (al ribasso rispetto agli 8 anni già decisi nel precedente processo di secondo grado).
Dunque, dopo sei anni, restano intatti i misteri di Antonello Montante.
Anzi, aumentano.
Cosa legava davvero Montante a prefetti, capi dei servizi segreti, ministri, politici e burocrati di Stato?
Il sospetto di chi ha condotto questa indagine, fra la procura e la squadra mobile nissena, è che Montante abbia messo in piedi una spaventosa macchina di dossier e ricatti. Insieme a un circuito di fondi neri per nascondere un cospicuo patrimonio, mai ritrovato.
Sono rimasti sospetti.
I dossier c’erano, ma in modo circoscritto. Come i ricatti.
Si è sospettato pure che in quelle pen drive ci fossero le intercettazioni segrete dell’inchiesta Stato-mafia, quelle fra l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.
Un altro sospetto rimasto tale.
«La Cassazione ha detto che un sistema Montante non è mai esistito », continua a ribadire il legale di Montante, l’avvocato Giuseppe Panepinto, che medita un ricorso alla corte di Giustizia europea per la condanna ormai definitiva.
Ma cosa c’era in quelle pen drive?
Il giallo è alimentato da alcune parole rimaste agli atti del processo.
Il teste Marco Venturi ha parlato di fondi neri: «Montante era solito ripetere che pagava la campagna elettorale a tutti e che spendeva un sacco di soldi».
In un’intercettazione, un fedelissimo del cavaliere Montante raccontava invece di «essere stato un portaborse, di essere stato un distributore di mazzette, ma mazzette parliamo di centinaia di milioni».
In un altro dialogo, diceva: «Antonello è veramente una persona pericolosissima, ha fondato un impero lui, è avido, e probabilmente quello che lo sta rovinando… l’unico difetto che ha è l’avidità… l’ingordigia, la sete di ricchezza smodata».
Ecco, il tema dei temi rimasto irrisolto: l’impero economico costruito dal paladino dell’antimafia grazie alla sua rete di relazioni.
Diceva ancora il fedelissimo di Montante: «Lui è immischiato in situazioni così gravi, così assurde, senza averne né arte né parte, credimi… no di millesimi, perché centinaia di milioni di miliardi di una volta… l’ho capito cosa stava succedendo, non è cosa da poco».
Ma non tutto è andato perduto, i tecnici della polizia hanno recuperato invece alcuni file da una pen drive sequestrata dalla squadra mobile durante un’altra perquisizione.
Pure quei file erano stati cancellati, ma non per sempre.
E così è emersa una contabilità parallela, a gestirla un fidato collaboratore del manager, Vincenzo Mistretta, che annotava con cura su un foglio Exel le uscite “extra contabili” della società Msa” di Cuneo, ovvero i soldi che non dovevano figurare da nessuna parte.
Il foglio Excel racconta che cinquantamila euro vennero consegnati in più tranche a un misterioso “Signor P”, fra il 2004 e il 2011.
Sessantamila, in totale, furono «consegnati al signor Antonello Montante», annotava solerte Mistretta.
Cinquantamila euro della Msa arrivarono ad altre persone, «si tratta di operazioni estranee al core business aziendale», hanno rilevato i consulenti dei pm.
A chi andavano quei soldi?
Per la Cassazione un’associazione non c’era. Allora, evidentemente, Montante aveva solo tanti amici.
Da “la Repubblica Palermo” del 01/11/024