L’enigma del sistema parallelo
In un Paese che potrebbe essere un faro di civiltà e progresso, grazie al suo immenso patrimonio culturale, umano ed economico, assistiamo invece a un declino orchestrato ad hoc da una classe dirigente parassitaria.
Politici e burocrati incapaci, intenti a perpetuare inefficienza e mediocrità, che hanno elevato l’incompetenza a sistema di governo.
Questi individui si affannano a stabilire nuovi primati di inefficacia, con una strategia deliberata, trasformando le istituzioni in un circo di ciarlatani, dove ogni tentativo di progresso viene sistematicamente sabotato con una precisione chirurgica, non per incompetenza ma per deliberata malafede, per cattiveria e meschinità.
Questi “padrini del sistema” agiscono con l’arroganza tipica di chi si sente intoccabile, costruendo la propria narrazione sull’arte della mistificazione.
Giustificano ogni fallimento accusando il passato, in una costante opera di manipolazione con attribuzione di responsabilità ex-tunc.
Mai affrontano i problemi reali, poiché non ne sono all’altezza, considerando ogni visionario, ogni portatore di valore come una minaccia da neutralizzare.
Per loro, l’eccellenza non è una risorsa ma un pericolo da eliminare poiché smaschera il loro essere nullità.
Così, attraverso piccole vendette e decisioni grottesche, alimentate da un profondo rancore verso chi ne espone la mediocrità, sabotano ogni tentativo di progresso.
Si rifugiano dietro scrivanie per ostacolare il progresso, creando un labirinto di inefficienza e arrogante grettezza che premia il servilismo e l’omologazione in un circolo vizioso che avvelena ogni ambito del vivere civile.
È un cancro che divora il sistema, alimentato da questi wannabe mammasantissima: esseri inetti convinti di essere sovrani di un regno di mediocrità.
Con cinismo e crudeltà, si dedicano a distruggere sistematicamente ciò che altri, con sacrifici e umiltà, costruiscono, mossi da un profondo odio per il talento, la giustizia e il progresso.
Incapaci di confrontarsi con le sfide del presente e di guardare al futuro, questi sciacalli si rifugiano nella retorica del confronto con il passato.
La loro è una competizione al ribasso, alimentata da un’invidia sociale corrosiva verso chi si distingue per capacità, visione e integrità.
“Il governo precedente ha fatto di peggio”.. ripetono come un mantra per crearsi un alibi, per giustificare il loro essere dei falliti, ignorando che loro stessi sono il passato di qualcun altro.
In questo scenario degradato, la società civile appare smarrita, incapace di orientarsi in un contesto in cui la lotta contro la mafia è troppo spesso strumentalizzata per fini personali e di carriera.
Quella che doveva essere una “antimafia” genuina si è trasformata, troppo spesso, in uno strumento di copertura.
La vera giustizia sembra sempre più un’utopia irraggiungibile, mentre la “borghesia mafiosa” si infiltra tra i protagonisti di questa lotta, con politici, funzionari pubblici, imprenditori e professionisti che si trovano, in prima linea, tra gli artefici di questo sistema corrotto.
Chiunque osi opporsi a questo sistema viene osteggiato, emarginato e screditato, perché rappresenta una minaccia per lo status quo.
La politica che oggi domina non solo rifiuta di assumersi responsabilità, ma disprezza chiunque le ricordi che un’alternativa è possibile.
Non si tratta solo di corruzione, si è consolidata una vera e propria “mafia istituzionale”, un sistema di potere non scritto nei libri mastri ma in attesa di certificazione, che, pur non codificata nei manuali del crimine è una piaga devastante, che paralizza lo sviluppo economico e sociale, sottraendo risorse preziose al territorio.
Questo sistema opprime sistematicamente chi cerca il cambiamento.
Chi denuncia, critica o segnala il malaffare viene isolato, screditato, minacciato.
Il silenzio viene comprato con promesse, favori e incarichi.
Il cuore del sistema non è più solo la spartizione degli appalti, ma il potere stesso, gestito attraverso una “centrale di comando” che, pur non essendo la tradizionale “cupola”, si rivela molto più sofisticata e sfaccettata.
Un modello che ha preso forma e forza dalle dinamiche del “sistema Montante”, dove la rete di potere si intreccia tra legittimità formale e collusioni informali, dando vita a un apparato che, pur ammantato di legalità, è intrinsecamente mafioso.
Ma ciò che più inquieta è che non si tratta di casi isolati, bensì del frutto di un patto di omertà vincolato dal “codice d’onore”, dove l’efficienza istituzionale viene sacrificata sull’altare delle complicità e della protezione reciproca.
Eppure, persistono voci di dissenso.
Denunciare, criticare, esprimere la propria opinione rimane un atto di dignità irrinunciabile.
Accettare il silenzio significa rendersi complici, tradire il presente e le generazioni future.
Chi sceglie di tacere per paura o interesse non sacrifica solo la propria dignità, ma anche la libertà collettiva.
“Oportet ut scandala eveniant”: è solo affrontando verità scomode che possiamo aspirare a un futuro migliore.
Dove non c’è spazio per il dissenso, non può esistere democrazia.
E senza democrazia, non c’è libertà.
Difendere il diritto di critica non è solo un atto di civiltà, ma un imperativo morale per chiunque creda ancora nella possibilità di un cambiamento.
Il silenzio non è neutralità: è complicità.
Questo Paese merita di più.
Merita un futuro costruito sul talento, la meritocrazia e il coraggio, non sull’arroganza di chi gioca sempre al ribasso. Il progresso non è un’opzione: è un dovere morale.
È tempo di riscoprire valori dimenticati: il discernimento per distinguere il giusto dall’ingiusto, l’onestà intellettuale per perseguire la verità, il coraggio di difendere ciò che è giusto nonostante i rischi.
Queste virtù, tuttavia, non sono per i deboli. Richiedono carattere e una visione che sappia immaginare un Paese diverso.
La vera sfida non è solo tecnica o amministrativa, ma culturale e morale.
È la sfida di chi rifiuta di arrendersi alla mediocrità, di chi continua a credere che un Paese migliore non solo sia possibile, ma necessario.
È la sfida di tutti coloro che, nonostante tutto, non hanno smesso di sognare e di lottare per un futuro degno della nostra storia.
