Da ilFattoQuotidiano
L’Italia, come Paese, non rischia alcuna sanzione diretta per aver riportato Osama Almasri in Libia.
La Corte Penale Internazionale, prima indagando e poi deferendo il caso all’Assemblea degli Stati Parte dello Statuto di Roma del 1998, potrebbe però perseguire politici e funzionari pubblici. Tuttavia, lo stesso Statuto non prevede alcuna pena per loro ma “solo” l’invio ai 123 Stati parte la comunicazione di non cooperazione.
Tradotto: poco più di una figuraccia mondiale.
Certo, la questione sarebbe diversa se i politici in questione fossero direttamente e personalmente coinvolti nei crimini per cui la persona è ricercata, ma questo non è sembra essere il caso dell’Italia.
Stando allo Statuto di Roma –che obbliga alla cooperazione gli Stati che aderiscono – ciò che rischia il nostro Paese, dunque, sono al massimo dichiarazioni ufficiali di critica, richieste
ufficiali per il rispetto degli obblighi internazionali e pressioni diplomatiche tra gli Stati membri
per incentivare la cooperazione.
Provvedimenti che “comunque determinano discredito e difficoltà nelle relazioni internazionali”, spiega al Fatto la magistrata Silvana Arbia, cancelliera della Cpi, che poi aggiunge: “Si tratta di un buco presente all’interno dello Statuto, conseguenza di un ‘mulo diplomatico’, come lo definiva il grande giurista Mahmoud Cherif Bassiouni, che ha limitato l’efficacia dell’operato di questa Corte”.
Va ricordato che, stando a quanto emerso finora, l’Italia non ha né omesso di arrestare Almasri
quando la Cpi ha emesso il mandato di cattura, né ci sono prove che quella di espellerlo e quindi di riportarlo in Libia sia stata una decisione “politica” del Governo. Le informative alle Camere dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi spiegano tutt’altro. Seppure, sempre secondo Arbia “non possono rimanere nell’ambito domestico”, in quanto “risulta un tentativo di delegittimare
la Corte e minare la sua autorità”.
Tuttavia, anche esaminando casi assimilabili, non emergono grossi rischi per l’Italia o per gli
attuali membri del Governo.
Quello più recente riguarda la Mongolia, che aderisce allo Statuto di Roma.
Il Paese asiatico, nel settembre 2024, ha ricevuto una visita ufficiale del leader russo Vladimir
Putin, su cui pende un mandato d’arresto della Cpi dal marzo 2023. Il 24 ottobre, la Cpi stabilì
quindi che la Mongolia non aveva ottemperato alla richiesta di cooperazione della Corte,
violando le disposizioni dello Statuto. Ma non ci sono state conseguenze rilevanti. “La Mongolia
fu molto trasparente in quella circostanza – sostiene Arbia. –Dichiarò che la propria economia
dipendeva in gran parte dal Cremlino e che arrestare Putin avrebbe significato mettere in grave
pericolo la tenuta del Paese”.
Il 15 gennaio scorso anche il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, definì “i rrealizzabile ” eseguire il mandato d’arresto per il leader israeliano Benjamin Netanyahu in caso di visita a Roma.
Ma c’è un caso ancora più calzante che riguarda il Sudafrica, che come l’Italia è stato “fondatore ”
della Cpi.
Nel 2015 il governo di Pretoria – così come poco prima il Kenya, altro Paese aderente allo Statuto di Roma – decise di non procedere all’arresto dell’ex presidente del Sudan, Omar al-Bashir, dopo averlo ospitato durante il vertice dell’Unione Africana a Johannesburg. Al-Bashir era ricercato dal 2009 con accuse di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra per il conflitto in Darfur. La cosa scatenò l’indignazione mondiale ma anche lì la “condanna” della Cpi non ebbe riflessi concreti.
Seguirono però polemiche interne e un procedimento verso gli esponenti del governo: nel 2016 il Tribunale Supremo del Sudafrica emise una sentenza in cui giudicò illegale la decisione di non arrestare l’ex leader sudanese. Tuttavia, anche qui, non c’è stata alcuna conseguenza per i politici sudafricani.
In quel periodo il Sudafrica ragionò se uscire dalla Cpi, iter avviato e poi bloccato dalla Corte
costituzionale.
Ieri all’Aia è circolata voce che l’Italia stesse ragionando su una presa di posizione simile, rumor fermamente smentito da fonti diplomatiche.
Al Fatto risulta che la “proposta” sarebbe stata fatta, a mo’ di battuta, al ministro Tajani
dal suo omologo israeliano Gideon Sa’ar durante il loro incontro di ieri ad Ashdod.
Piccola provocazione a cui il vicepremier non avrebbe ceduto, rispondendo con la parola “impossibile”.
Fonte Da ilFattoQuotidiano del 07/02/2025
