La campagna per il referendum del segretario della Cgil che ribatte anche alla Cisl
I fronti: La Cgil ha promosso 5 referendum. Uno comporta il taglio (da 10 a 5) degli anni di residenza in Italia per poter presentare la richiesta della cittadinanza italiana. Altri tre referendum, mirano ad abrogare diverse norme del Jobs act e chiedono il ripristino della
responsabilità solidale del committente negli appalti.
Corsi e ricorsi storici.
Alla vigilia dei 41 anni dall’accordo di San Valentino, il sindacato è spaccato — nel 1984 sulla scala mobile, il meccanismo automatico di adeguamento dei salari all’inflazione, oggi sulla legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese—e la Cgil lancia la campagna elettorale per i referendum su Jobs act e cittadinanza mentre allora si mobilitò sul referendum voluto dal Pci sulla stessa scala mobile, andando incontro a una sconfitta storica.
Negli ultimi due giorni abbiamo assistito prima all’abbraccio tra la Cisl e il governo, con l’intervento della premier Giorgia Meloni, all’Assemblea del sindacato di matrice cattolica,
all’insegna del comune impegno per l’approvazione della legge di iniziativa popolare proposta dalla stessa Cisl sulla partecipazione e ieri all’”Assemblea delle assemblee” della Cgil nella quale il leader, Maurizio Landini, ha lanciato la mobilitazione del sindacato della sinistra per i 5
referendum abrogativi promossi dalla stessa confederazione e sulla quale si voterà in una data, che il governo non ha ancora deciso, tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Una sfida decisiva per la Cgil, impegnata nell’impresa di raggiungere il quorum, cioè la partecipazione al voto del 50% più uno degli elettori (che rende valido il risultato del referendum) e la vittoria dei sì. Un risultato per il quale la Cgil mobiliterà tutti i militanti, con una fortissima attività in particolare sui social per raggiungere, come ha spiegato lo stesso Landini, «soprattutto coloro che non vanno più a votare, perché tanto non cambia mai niente ».
Poiché, ha aggiunto il segretario della Cgil, «abbiamo più di 5 milioni di iscritti, basta che ognuno di noi convinca almeno 5 persone a votare per raggiungere i quasi 26 milioni di elettori necessari per il quorum».
Landini ha quindi replicato a Meloni che, dal palco della Cisl, aveva accusato la Cgil di «ostinarsi a sostenere una tossica visione conflittuale di rapporti tra impresa e lavoro ».
Alla premier, ha detto Landini, “vorrei ricordare che se c’è la democrazia, che consente loro di governare, è grazie al conflitto e alla lotta dei lavoratori, cioè di tutti questi “tossici” come noi”.
Il leader della Cgil ha quindi sfidato il governo, che punta sul fallimento del quorum, a consentire
il voto “a tutti i fuori sede per motivi di studio e lavoro”.
E sulla legge sulla partecipazione in discussione alla Camera, Landini ha replicato alla Cisl e alla stessa Meloni, affermando: “Non ho nulla contro la partecipazione, ma dopo le molte modifiche decise in commissione, il testo non applica quello che dice l’articolo 46 della Costituzione, che parla di diritto dei lavoratori alla partecipazione, bensì stabilisce che saranno gli statuti, ovvero le imprese, a decidere se prevedere la partecipazione, riducendo così gli spazi della contrattazione,
perché così ha voluto la Confindustria”.
Insomma, quella che per la Cisl è “la legge Sbarra”, come l’ha definita la nuova segretaria generale, Daniela Fumarola, eletta proprio ieri con il 98% dei voti dal Consiglio generale della Cisl per succedere a Luigi Sbarra che ha terminato il mandato, è invece la «legge della Confindustria », secondo la Cgil.
Più distanti di così… E allora non è un caso che Fumarola auspicando un nuovo Patto sociale «tra i riformisti» abbia evocato proprio quello di San Valentino del 1984 tra il governo Craxi, la Cisl e la Uil. Con la Cgil all’opposizione.
Fonte Corriere della Sera
