C’è un paradosso amaro che accompagna la morte di Papa Francesco
Per anni, il suo magistero ha cercato di bucare il muro dell’indifferenza con parole semplici, dirette, spesso scomode.
Tanti gli appelli, le suppliche, i moniti rivolti a chi ha nelle mani il potere di fermare il sangue, spegnere le armi, ridare respiro alla pace.
Li ha lanciati senza sosta, instancabile, da ogni angolo del mondo. Ma troppo spesso sono caduti nel vuoto, ignorati dai professionisti del conflitto, da chi sul dolore costruisce strategie, da chi conta morti come numeri.
Eppure oggi, ora che non c’è più, sono proprio alcuni di quei protagonisti – capi di Stato, generali, leader politici, come anche semplici cittadini che non hanno mai ascoltato – ad affacciarsi con parole di cordoglio, a mostrarsi colpiti, affranti, riconoscenti.
Una reazione che stride. Perché Francesco era lì, con la voce rotta ma ferma, a chiedere pace in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa.
Era lì a denunciare il commercio delle armi, l’ipocrisia delle diplomazie, il silenzio assordante davanti alle stragi, alle morti dei migranti e al riconoscimento dei diritti civili, dalle unioni civili agli omosessuali.
Papa Francesco è stato un pontefice vicino agli ultimi, ai poveri, ai malati, agli scartati.
Un papa che ha fatto della misericordia un cardine, del contatto umano una missione, dell’ascolto una scelta politica.
Mai chiuso nei palazzi, ma immerso tra le periferie del mondo e dello spirito.
Un uomo che ha osato mettere in discussione abitudini, riti, certezze troppo comode.
Un papa se vogliamo rivoluzionario, nel senso più vero del termine: capace di ribaltare prospettive, di spostare lo sguardo, di rompere gabbie mentali e morali in cui spesso ci rifugiamo, prigionieri del già detto, del già fatto.
Lo abbiamo perso e questo è un peccato, nel senso più profondo della parola.
Perché forse oggi più che mai avremmo avuto bisogno di lui, della sua voce fuori dal coro, della sua capacità di andare al cuore delle cose, della sua umanità così disarmante.
Ma non tutto è perduto, perché le sue parole restano e con esse il suo esempio. Tocca a noi, adesso, non lasciarle spegnere. “La pace si costruisce a partire dai piccoli gesti quotidiani. Nessuno è troppo piccolo per seminare il bene”.
Per noi che continuiamo a vivere, onorando anche le sue attività altruiste, è il momento della verifica.
Prepariamoci a sentire, vedere e leggere di tutto da parte di tutti.
Anche e soprattutto tutti gli umani e politici che, pur facendo professione di fede verso il Vaticano, ogni giorno agivano contro richieste e suppliche che il papa faceva loro: rispetto e diritti degli umani di ogni razza, scelta e credo, no guerre, no violenze, diritti migranti e degli ultimi, diritti alla non povertà.
“Occorre indagare se a Gaza è in corso un genocidio” ha detto Francesco il 17 novembre 2024. Praticamente nessun leader politico, a parte gli israeliani che l’hanno attaccato, ha commentato queste sue parole.
Quelli che ora lo incensano l’hanno ignorato quando ha denunciato l’orrore in corso a poche centinaia di km di distanza da Roma. Ipocriti, mercanti del tempio! Francesco è stato un uomo di Pace, e di questi tempi, così oscuri, mi pare un merito enorme.
Bandiere tenaci di un papa, glorificato quanto ignorato. Alibi di disumani e ipocriti per giustificare le cose peggiori di questo mondo.
