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Gaza, l’ONU chiede un’indagine indipendente per la gestione degli aiuti umanitari di Israele

Last updated: 05/06/2025 6:32
By Redazione 91 Views 6 Min Read
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L’ONU valuta un’indagine sull’attacco israeliano del 1° giugno a Rafah, dove sono morti almeno 30 palestinesi in attesa di aiuti. La distribuzione è gestita dalla controversa Gaza Humanitarian Foundation, accusata di inefficienza e strumentalizzazione. La fame è usata come arma di guerra

Le Nazioni Unite potrebbero avviare un’indagine indipendente per quanto accaduto il 1° giugno a Rafah, nella Striscia di Gaza, quando l’esercito isreaeliano ha aperto il fuoco sui civili palestinesi ammassati e in attesa della distribuzione di aiuti umanitari da parte della controversa ONG Gaza Humanitarian Foundation. In quell’occasione sarebbero morti almeno 30 palestinesi uccisi dal fuoco israeliano.

Le richieste del segretario generale ONU
Dopo una prima smentita, lo stesso IDF (Israel Defense Forces) ha poi confermato che i militari israeliani hanno sparato sulla folla prima con “colpi di avvertimento” e poi contro persone ritenute sospette. I morti sarebbero almeno una trentina e i feriti quasi 200. Nel chiedere un’indagine indipendente su quanto accaduto, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto il 2 giugno di essere:

sconvolto dalle notizie di palestinesi morti e feriti mentre ieri cercavano aiuti a Gaza. È inaccettabile che i palestinesi rischino la vita per procurarsi cibo. Israele ha obblighi chiari, in base al diritto internazionale umanitario, di accettare e facilitare la distribuzione di aiuti umanitari. Va ripristinato immediatamente l’ingresso senza impedimenti di assistenza su scala tale da soddisfare i bisogni enormi a Gaza.
Il ruolo della Gaza Humanitarian Foundation
Al momento, infatti, l’unica organizzazione autorizzata a distribuire aiuti umanitari agli oltre due milioni di abitanti della Striscia è la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione creata nel febbraio 2025 di cui non sono noti i finanziatori, ma apertamente sostenuta dal governo di estrema destra israeliano e da quello degli Stati Uniti. La GHF ha iniziato a operare sul campo a Gaza lunedì 26 maggio, in maniera inefficiente e con una gestione caotica che ha già causato diversi episodi di violenza. In teoria, infatti, l’esercito israeliano dovrebbe stazionare a circa 300 metri dai punti di distribuzione, mentre la sicurezza interna dovrebbe essere garantita da mercenari di compagnie private statunitensi. Ma nei fatti questo non avviene, spingendo spesso i militari israeliani a intervenire con le conseguenze già viste a Rafah l’1 giugno e in altri siti della Striscia.

Inoltre, la GHF distribuisce generi alimentari come pasta o riso, che spesso non possono essere cucinati da chi li riceve per la scarsità a Gaza di acqua o combustibili per far funzionare fornelli o fuochi da campo. In più, la GHF opera con soli 4 punti di distribuzione, contro gli oltre 400 che erano stati allestiti in precedenza da oltre 200 tra altre ONG e agenzie delle Nazioni Unite – ora chiusi su imposizione del governo di Tel Aviv. I punti di distribuzione si trovano tutti nel Sud della Striscia di Gaza, ossia nelle poche aree non coinvolte dall’offensiva militare israeliana in corso, almeno per il momento. Per questo molti hanno già accusato la GHF di essere solo l’ennesimo strumento di pressione di Israele per costringere i gazawi a spostarsi in zone ben delimitate della Striscia e lasciare campo libero alle truppe dell’IDF nel resto dell’area. Mercoledì 4 giugno la GHF ha annunciato la sospensione della distribuzione di aiuti umanitari nei suoi centri, mentre l’esercito israeliano ha dichiarato che le strade per raggiungerli sono una legittima zona di combattimento.

La fame come arma di guerra
Il disastro umanitario in corso a Gaza, già stremata da quasi due anni di combattimenti tra l’IDF e i miliziani di Hamas, si è ulteriormente aggravato a causa dell’embargo sugli aiuti imposto da Israele a partire dal 2 marzo. Nonostante l’ingresso di poche decine di camion con aiuti tra i 19 e il 20 maggio, la fame come arma di guerra continua a essere usata da Tel Aviv contro i gazawi. Secondo ONG e osservatori internazionali il blocco a fine maggio aveva già causato la morte per fame di oltre 300 bambini palestinesi, cifra che oggi può essere molto più alta, dato che sono più di 14.000 mila i bambini seriamente malnutriti.

Per questo, già il 20 maggio Tom Fletcher, sottosegretario generale per gli Affari umanitari della Nazioni Unite, ha chiesto di «aprire almeno due valichi a Gaza, uno a nord e l’altro a sud; semplificare e accelerare le procedure e rimuovere qualsiasi contingentamento; eliminare gli impedimenti all’accesso all’interno di Gaza e non condurre attacchi nelle aree e nei momenti in cui avvengono le consegne; permetterci di coprire l’intera gamma di necessità – cibo, acqua, igiene, ripari, salute, carburante, gas e altro». Inoltre, ha detto che per «ridurre i saccheggi, deve esserci un flusso regolare di aiuti e gli operatori umanitari devono essere autorizzati a utilizzare più percorsi. I beni commerciali devono integrare la risposta umanitaria». Tutte richieste che il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo governo di estrema destra continuano a ignorare deliberatamente.

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