Da LaRepubblicaPalermo di Emanuele Lauria
Fonti qualificate parlano di una fase già avviata di «attenta valutazione delle carte». E viene
annunciata «la volontà di andare sino in fondo».
Sul piano strettamente giuridico, e dunque sotto il profilo dei rischi giudiziari per Galvagno,
appare più grave la parte relativa all’uso allegro dell’auto blu. Un rilievo che però, ai piani alti di FdI, assume un peso anche politico: c’è chi ricorda che la premier Giorgia Meloni, quando era ministro della Gioventù nel governo Berlusconi, lanciò un messaggio di sobrietà attraverso l’impiego dello scooter per andare in ufficio. Ma l’occhio è puntato anche su altre pratiche ritenute perlomeno non opportune politicamente,
come quelle che si sostanziano negli incarichi che collaboratori di Galvagno avrebbero avuto da imprenditori finanziati dall’Ars o direttamente dal suo presidente. Sono comportamenti istituzionali ritenuti «preoccupanti», mentre si approfondisce ancora. Ma lo stesso Galvagno ha sentito l’esigenza di inviare allo stato maggiore del partito documenti che, a suo dire, lo discolperebbero.
Altra questione è quella che riguarda l’assessora regionale al Turismo Elvira Amata, altra esponente
di FdI indagata per corruzione: nel suo caso non ci sono ancora carte ma i maggiorenti di FdI stanno osservando da vicino l’evoluzione del rapporto professionale con il capo di gabinetto vicario Giuseppe Martino, uno dei personaggi-chiave di questo filone d’indagine: finora Martino è rimasto
al suo posto.
Ma anche i legami con l’inchiesta-madre, quella partita dal maxi-finanziamento della Regione Siciliana per la partecipazione al festival di Cannes, sono sotto la lente. Il filo qui porta direttamente a Manlio Messina, ex vicecapogruppo alla Camera e avanguardia della cosiddetta corrente turistica del partito, che si dimise il 5 marzo scorso dalla Camera non senza una bordata polemica.
Parlò di «beghe interne, liti, tentativi di creare correnti e screditare i compagni di partito».
Dalla spessa coltre di silenzio che avvolge la vicenda filtra comunque la concreta possibilità che gli attori dell’inchiesta siciliana finiscano a breve sotto il giudizio dei probiviri.
«Sarà inevitabile: se le accuse si confermeranno gravi o c’è l’autosospensione o ci sono i probiviri», dice un dirigente del partito. Esiste un’irritazione che non fa escludere provvedimenti, a partire proprio dalla sospensione.
E, in questo caso, in via della Scrofa si cita un precedente preciso: nell’estate scorsa il deputato
Andrea De Bertoldi, accusato di essersi messo “a disposizione” di un gruppo di imprenditori del settore geotermico in Toscana, fu giudicato dai probiviri e venne poi espulso da FdI senza neppure essere indagato.
Ora, in questo caso la questione è più complessa, sia per la carica di primo piano rivestita da Galvagno sia perchè il presidente dell’Ars, originario di Paternò, gode della fiducia del presidente del Senato Ignazio La Russa, suo grande sponsor.
Ma fino a che punto, sul piano dell’immagine, il partito può reggere l’avanzare dell’inchiesta? I prossimi giorni saranno decisivi e c’è una parte di FdI, ai vertici, fortemente inquieta per i contraccolpi che sta subendo il partito.
La verità è che il caso Sicilia sta terremotando il partito. Proprio perché tocca uno dei nervi scoperti di FdI, la questione di una classe dirigente che viene ritenuta dagli avversari politici inadeguata. Nell’Isola è stato inviato a marzo un commissario, il deputato Luca Sbardella, che è il vice del responsabile dell’organizzazione Giovanni Donzelli. Il gruppo dell’Ars, da questa area del partito, viene ritenuto come un corpo estraneo. Di più, ormai, come una mina per la credibilità di FdI.
Una sorta di emblema della questione meridionale che anima i Fratelli.
E un segnale giunge proprio dalla decisione, per certi versi clamorosa, di annullare il convegno sull’antimafia che era già stato annunciato per il 19 luglio a Palermo. L’evento organizzato dai gruppi parlamentari di Camera e Senato, che negli ultimi anni si è svolto sempre in Sicilia, è stato spostato a Roma: FdI rinuncia a una presenza nella città di Borsellino,
una delle icone di Giorgia Meloni.
Scelta dolorosa per la premier, ma compiuta proprio per rimarcare le distanze da quello che ormai, fra alcuni fedelissimi, viene considerato un campo minato, per evitare l’imbarazzo di dover mettere la faccia sul proscenio di una grave inchiesta per corruzione. Anche perché nessuno sa se, di qui al giorno dell’anniversario di via d’Amelio, il caso Galvagno
produrrà nuovi capitoli giudiziari.
Da LaRepubblicaPalermo di Emanuele Lauria

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