Quelle “registrazioni occulte” non si dovevano usare.
Nemmeno le chat e le mail agli atti dei pm di Milano, diventate prove contro di lei.
Sulla base di questa convinzione, Daniela Santanchè chiede alla Giunta delle immunità del Senato di sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
La strada appare segnata: se i senatori daranno ragione alla ministra – che conta sul sostegno della sua maggioranza – il caso approderà in Corte costituzionale.
Altro tempo che passa: il procedimento per truffa aggravata ai danni dell’Inps è sempre di più in una corsa a ostacoli.
Per la ministra è il caso più spinoso. Un rinvio a giudizio farebbe vacillare il posto nel Governo.
La procura la accusa di truffa per la vicenda della “Cassa Covid”: 126 mila euro indebitamente
percepiti dal gruppo editoriale Visibilia per la cassa integrazione a zero ore di tredici dipendenti
che in realtà lavoravano normalmente.
I pm hanno chiesto il processo un anno fa ma si è ancora all’udienza preliminare: ci vorranno mesi
prima che si arrivi a un rinvio a giudizio o proscioglimento.
Tra le questioni preliminari sollevate dagli avvocati Salvatore Pino e Nicolò Pelanda, lo scorso 9 luglio ne arriva una destinata a far discutere.
I legali dicono: quelle cinque registrazioni fatte da un dipendente all’insaputa di Santanchè sono come delle intercettazioni.
Per usarle, i pm dovevano chiedere l’autorizzazione al Parlamento, come previsto dalla Costituzione.
Stessa critica per chat e mail che vedono la ministra in copia.
Un colpo di scena. Così a Milano la giudice Tiziana Gueli rinvia tutto al 17 ottobre, mentre a Roma la ministra percorre una strada parallela.
Cioè quella di interpellare la Giunta delle immunità. Che, verosimilmente, dirà che quel materiale non si poteva usare, anche se da oggi l’opposizione leggerà gli atti ed è pronta a dar battaglia.
Lo step successivo è quello di chiedere al Senato di sollevare un conflitto con la procura che solo la Consulta, a quel punto, può sciogliere.
Finora i pm hanno seguito una strada diversa. Ritenendo di non dover chiedere autorizzazioni per
quelle prove che dimostrerebbero la consapevolezza di Santanchè nelle scelte sulla “Cassa Covid”.
Perché non sono intercettazioni nei confronti della parlamentare né comunicazioni estrapolate da strumenti informatici. Ma documenti depositati da testimoni sentiti durante le indagini.
Per capire quanto quei documenti siano importanti, basta leggere il verbale di udienza del 9 luglio.
Dopo che gli avvocati della senatrice giocano la nuova carta, i pm chiedono di ribattere durante l’udienza successiva: “L’eventuale inutilizzabilità del materiale probatorio incide sulle possibili conclusioni dell’udienza preliminare”.
Se la Consulta sarà investita del caso, anche la gup dovrà valutare se sospendere o meno il processo. Non è obbligata: dipende anche dall’importanza che attribuisce alle prove contestate.
Una corsa a ostacoli. E il tempo scorre
Fonte laRepubblica
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