«Abbiamo bisogno di uomini che sappiano cucire insieme cultura scientifica e umanistica».
L’ammonimento di Piero Angela, pronunciato nel 1988, oggi non è memoria: è sentenza.
Il sapere non può più restare frammento. Le discipline isolate sono gusci vuoti. Occorre sintesi, connessione, visione unitaria. Solo così il sapere diventa forza creatrice, guida, fondamento etico del progresso.
Nell’era delle crisi globali, l’interprete interdisciplinare non è un lusso. È necessità vitale. Serve chi sappia tradurre linguaggi diversi. Chi sappia unire algoritmo e diritto, tecnologia e storia, economia e psicologia. Senza questa sintesi, la scienza si fa meccanismo cieco; l’umanesimo, sterile nostalgia.
La storia ci ha già consegnato il paradigma: Leonardo da Vinci. La sua grandezza non nacque dalla specializzazione, ma dalla fusione. Pittura e ingegneria. Intuizione e calcolo. Arte e scienza, inseparabili.
Oggi il suo lascito non è più un esempio: è un comando. Formare specialisti chiusi nel proprio recinto è suicidio culturale. Servono architetti del sapere, capaci di edificare ponti e disinnescare la complessità.
Il deficit della leadership contemporanea è lampante. Non frutto del caso, ma prodotto di un impianto deformato. Una classe dirigente, per lo più forgiata negli anni Settanta e Ottanta, cresciuta in un mondo analogico, pretende di governare l’era digitale. E persino i giovani, quando arrivano al potere, portano con sé idee logore, stanche, impregnate di polvere e naftalina.
Il divario è siderale.
Chi decide oggi non legge il presente.
Chi guida l’Italia ignora tanto le fondamenta scientifiche quanto le radici umanistiche del sapere.
Il risultato è inevitabile: smarrimento, improvvisazione, sudditanza culturale.
Un sistema che ha premiato fedeltà di partito e abilità retorica ha prodotto élite prive di sostanza. La conseguenza è sotto gli occhi: incompetenza strutturale, scandali, corruzione, miopie strategiche.
Eppure la cura esiste. È l’interdisciplinarità. Non come opzione, ma come vaccino. Una leadership che sappia dominare la logica degli algoritmi e i principi costituzionali, i mercati finanziari e la psicologia collettiva, sarebbe meno vulnerabile al populismo, alla demagogia, al dominio tecnocratico.
La formazione integrata forgia anticorpi. Insegna umiltà epistemologica, capacità di ascolto, senso del limite. Virtù rare, ma decisive per chi governa. Virtù che sole possono impedire derive autoritarie e decisioni improvvisate.
Il tempo delle specializzazioni autarchiche è finito. È l’ora di una cultura che integri i saperi e generi classi dirigenti all’altezza della complessità. Preparazione tecnica. Fondamento etico. Responsabilità democratica.
Il monito di Angela non è più avvertimento. È atto d’accusa. Senza la fusione tra scienza e umanesimo, la società smarrirà insieme la propria coscienza e la propria capacità innovativa.
Il Rinascimento dell’interdisciplinarità non è scelta culturale: è imperativo civile. È il tribunale della storia a imporlo.
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