Nello scenario politico, l’opinione pubblica è abituata a pensare che i loro rappresentanti, in particolar modo coloro che ricoprono certe posizioni, siano leader forti e capaci di prendere ogni decisione con fermezza e in maniera autonoma.
Ma succede spesso che dietro chi comanda si nasconde o nascondono altri personaggi, mossi da altri interessi, spesso con finalità diverse e che non appaiono quasi mai.
Questo è un grosso problema per il politico che, pur sedendo sulla sedia più alta del potere, non è il vero padrone delle “carte” con cui si “gioca”.
L’idea di un politico autonomo, in grado di agire sempre secondo la propria coscienza e visione, dovrebbe essere un pilastro fondamentale della democrazia, infondendo anche sicurezza e tranquillità.
Ci si aspetta che un leader abbia la lucidità di analizzare i problemi, la saggezza di ascoltare le esigenze della collettività per poi prendere decisioni importanti per il bene comune.
Questa autonomia non è solo un problema caratteriale, ma una necessità per garantire che il potere sia esercitato per servire il popolo e non interessi di altri, spesso privati o in contrasto con il bene comune.
Ma che il mondo della politica sia un insieme di influenze, pressioni e compromessi, questo è notorio.
Il politico non completamente autonomo non è un “cattivo”, ma una figura spesso intrappolata in una rete di debiti, politici, e strette alleanze.
Le sue azioni e le sue mani sono infatti legate da promesse fatte, da sostegni ottenuti da persone che ora chiedono il conto, o da una carriera costruita non autonomamente e di conseguenza non può permettersi il lusso di mollare chi lo ha reso un politico.
Le sue decisioni, che dovrebbero essere frutto di riflessioni e prese in autonomia, sono in realtà la mera esecuzione di un copione scritto altrove e da altri.
In pubblico, il politico pronuncia discorsi forti, parla di indipendenza, di autonomia decisionale e di piena libertà di certe scelte, e il suo dire a volte risulta pure convincente, almeno ai più.
Ma quando poi si spengono i microfoni e si chiudono le porte, la tanto vantata autonomia finisce e le sue scelte, come forse anche i discorsi, sono pre e scritti da altri, e non sono soltanto semplici “suggerimenti”.
Questa condizione non solo danneggia lui stesso ma anche l’essenza di ciò che rappresenta.
Probabilmente vive una lotta interiore tra il suo desiderio di fare la cosa giusta e l’obbligo di fare quello che viene detto di fare.
Ogni volta che deve cedere a un compromesso, ogni volta che deve sacrificare un principio per un eseguire un “ordine”, perde pezzi della sua indipendenza, in quanto il vero potere non è detenuto da lui ma da chi sta dietro le quinte che, agendo nell’ombra, sono i veri registi dello spettacolo politico al quale assistono i cittadini.
Questo ci porta a chiederci chi veramente detiene il potere?
Un leader che non è libero di decidere non è un leader, ma un semplice esecutore, e vive sperando che non ci si accorga mai dei fili. Ad Maiora
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