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Sanità in trincea, l’Italia prepara gli ospedali alla guerra. Mentre restano le carenze di medici e fondi

Last updated: 18/09/2025 11:58
By Redazione 123 Views 6 Min Read
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Dal decreto 134/2024 al tavolo tecnico: l’Italia prepara ospedali “da guerra”, ma fondi e personale restano insufficienti

Contents
Il modello europeo e il ritardo italianoFondi, personale e comando: i nodi irrisoltiIl paradossoSi precisa: la pubblicazione di un articolo e/o di un’intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell’autore e/o dell’intervistato che ci ha fornito il contenuto. L’intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull’argomento trattato, caltanissetta401.it è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d’interpretazione.                                                 

L’Italia si prepara ad attrezzare i propri ospedali a scenari di conflitto, seguendo l’esempio di Francia e Germania. Da aprile è operativo un tavolo tecnico interministeriale – con Salute, Difesa e Infrastrutture – istituito dal decreto legislativo 134/2024, che recepisce la direttiva europea 2022/2557 sulla resilienza delle infrastrutture critiche.

L’obiettivo è delineare un piano che definisca ruoli, responsabilità e protocolli in caso di grandi emergenze, comprese le minacce Cbrn (chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari) e persino l’attivazione degli articoli 3 e 5 del Trattato Nato.

Le linee di lavoro discusse riguardano l’integrazione tra sanità civile e militare, la creazione di una catena di comando chiara, lo svolgimento di esercitazioni congiunte e l’introduzione di percorsi di formazione specifica. Tra le competenze richieste: la gestione dei traumi da esplosione, le amputazioni, le maxi-evacuazioni e la capacità di interfacciarsi con ospedali da campo o strutture esterne.

Il modello operativo è suddiviso in tre fasi: accoglienza e triage avanzato dei feriti, gestione durante la crisi con espansione delle capacità interne e infine supporto a missioni o rientri. Alcuni grandi policlinici universitari e hub traumatologici sono stati indicati in via informale come possibili centri di riferimento, ma al momento manca una lista ufficiale.

Il modello europeo e il ritardo italiano

Il confronto europeo non è irrilevante. In Francia, il “Plan Blanc” viene attivato ogni volta che un’emergenza sanitaria supera le capacità ordinarie: prevede la rapida riconversione di spazi, la sospensione delle attività differibili e il richiamo straordinario di personale.

In Germania, la pianificazione del Zivilschutz si è ampliata fino a contemplare scenari di guerra, con un ruolo diretto degli ospedali militari e dei grandi centri urbani. In Italia, al contrario, il dibattito si concentra ancora sulla cornice istituzionale e sull’organizzazione di esercitazioni, senza aver definito né i criteri tecnici per l’adeguamento degli ospedali né la dotazione finanziaria necessaria.

Fondi, personale e comando: i nodi irrisolti

I nodi restano numerosi. Anzitutto la scelta degli ospedali destinati a fungere da hub: non è stato chiarito se saranno uno per regione o se si privilegeranno i centri metropolitani. Poi la questione dei fondi: il decreto di recepimento della direttiva europea ha istituito organi di governance ma non ha previsto stanziamenti dedicati.

Restano da sciogliere anche i dubbi sulla catena di comando: chi avrà la responsabilità di coordinare, tra Ministeri, Regioni, Protezione civile e Difesa? Senza una regia unitaria il rischio è la sovrapposizione di competenze.

Sul piano operativo, la sfida più delicata è quella del personale. La sanità pubblica italiana affronta da anni carenze croniche di medici, infermieri e tecnici, aggravate da bilanci regionali sempre più tesi. In questo contesto, l’idea di formare specialisti per scenari bellici rischia di restare un esercizio teorico se non accompagnata da nuove assunzioni e risorse.

Le stesse esercitazioni congiunte, previste come momento di addestramento, hanno senso solo se gli ospedali dispongono di strutture dedicate: reparti schermati, presidi Cbrn, percorsi di decontaminazione e capacità di espansione rapida dei posti letto.

Il paradosso

Il paradosso è evidente: si chiede al sistema sanitario di prepararsi a un livello massimo di emergenza dopo anni di tagli e sottofinanziamenti che hanno messo in difficoltà la gestione dell’ordinario. Lo stesso tavolo tecnico lavora con l’obiettivo di allineare l’Italia agli standard europei sulla protezione delle infrastrutture critiche, ma finché non verranno resi pubblici gli standard minimi e garantite coperture certe, il rischio è di limitarsi a un piano sulla carta.

In altre parole, la sfida non è solo organizzativa o militare, ma soprattutto politica: senza risorse stabili e senza una governance trasparente, gli ospedali “a prova di guerra” restano uno slogan che rischia di scaricare sull’eccezione le carenze strutturali dell’ordinario.

Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli

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