Dalla prudenza filo-israeliana ai riposizionamenti e ripensamenti tardivi, tra smentite, piazze e contraddizioni
Dal 7 ottobre 2023 a oggi, Gaza ha travolto la politica italiana. Tutti i partiti, chi più chi meno, hanno inseguito il vento. Nelle prime settimane dopo gli attacchi di Hamas, la linea era quasi unanime: «Israele ha il diritto di difendersi». Un mantra che Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e il cosiddetto Terzo polo hanno ripetuto per mesi, rifiutando la parola genocidio e riducendo il dibattito a un esercizio di equilibrio. Poi sono arrivate le immagini dei bambini senza nome, i dati Onu, i rapporti delle Ong, le piazze. E la narrazione è cambiata.
Fratelli d’Italia ha oscillato tra la fedeltà atlantica e la paura dell’opinione pubblica. Giorgia Meloni, che all’inizio rivendicava «solidarietà piena a Israele», oggi parla di «risposta sproporzionata» e apre al riconoscimento della Palestina «a determinate condizioni». Antonio Tajani, dopo aver garantito che «non sarebbe stata usata violenza» contro la Flotilla, si è trovato a giustificare l’abbordaggio, le percosse, i fermi. Il governo ha promesso lo stop alla vendita di armi, ma i dati Istat e Dogane hanno registrato spedizioni per milioni di euro anche nel 2024. E la Lega, fedele al riflesso muscolare, continua a criminalizzare le manifestazioni pro-Palestina, invocando la precettazione degli scioperi.
Riposizionamenti più che ripensamenti
Nel Terzo polo la postura è stata coerente ma perdente. Carlo Calenda e Matteo Renzi, dopo mesi di difesa a oltranza di Israele e sostegno al piano Trump-Blair, hanno scelto platee separate il giorno delle grandi piazze del 7 giugno. Azione e Italia Viva restano l’ultima trincea del “due popoli, due Stati” senza cessate il fuoco.
M5S e Avs sono stati i primi a parlare apertamente di genocidio. Mentre il Partito democratico ha cambiato rotta più volte. Prima la cautela, poi la mozione per il cessate il fuoco e infine la presenza accanto ai movimenti e ai parlamentari saliti sulla Flotilla. Ma la spaccatura resta: l’area riformista accusa Schlein di aver ceduto alla piazza, mentre la base le riconosce di aver finalmente scelto un campo.
Il governo, intanto, è prigioniero delle sue stesse parole. Ha provato a negare, poi a giustificare, poi a correggere. Ma di fronte alle piazze, ai dati e alle immagini di Gaza, anche la propaganda ha smesso di reggere. La sensazione finale è che più che ripensamenti siano andati in scena riposizionamenti, nemmeno ben riusciti.
Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli
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