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Il fenomeno delle “dimissioni” o “revoche”, concetti da noi quasi sconosciuti

Last updated: 18/11/2025 8:00
By Sergio Cirlinci 118 Views 6 Min Read
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Sfogliando i quotidiani, sembra che in alcune città italiane ci sia un fenomeno davvero curioso, un autentico “miracolo politico” che lascia gli osservatori senza parole.

E il fenomeno dell’assessore che decide di dimettersi.

Sì, avete letto bene, non è un errore di stampa né una leggenda metropolitana.

Pensiamo, ad esempio, all’ex assessora alla mobilità di Bologna, che ha dichiarato di voler “rallentare” per motivi personali, o a un altro comune dove un assessore, di fronte a un cambiamento politico, ha pronunciato la fatidica frase “lascio l’incarico” per non mettere in difficoltà la giunta.

Invece di aggrapparsi alla loro poltrona, questi politici, quasi “alieni” , scelgono di fare un passo indietro.

Una mossa che potremmo definire rivoluzionaria, se non addirittura da ricovero immediato in un centro di riabilitazione per eccesso di etica pubblica.

Ma torniamo con i piedi per terra.

Nei nostri amati e tradizionali contesti politici locali, la parola “dimissioni” è stata non solo rimossa dal vocabolario, ma probabilmente è stata dichiarata illegale, sostituita da espressioni molto più rassicuranti come “riflessione strategica” o “necessità di approfondire il rapporto fiduciario” per mantenere la poltrona faticosamente conquistata e in alcuni casi anche immeritatamente.

Le “dimissioni” sono viste come un segno di debolezza, un cedimento imperdonabile, un’onta che macchia per sempre la carriera politica.

Si dimette l’allenatore di una squadra dopo una serie di risultati negativi, non certo l’assessore che ha giurato eterna fedeltà al proprio incarico.

Di fronte a qualsiasi turbolenza, la reazione tipica non è mai quella di ritirarsi, soprattutto quando non si portano a casa risultati o se c’è un qualcosa di poco chiaro che sfiora altri palazzi.

Gli assessori, invece, si mostrano sempre più determinati, si dichiarano indispensabili e ribadiscono con passione che il loro unico obiettivo è “portare a termine il mandato per il bene della cittadinanza”, anche se, in realtà, la cittadinanza vorrebbe vederli tornare a casa.

Si nascondono dietro dichiarazioni di “massima serenità”, anche quando intorno a loro scoppiano fuochi d’artificio e tra colleghi non c’è affiatamento.

Esercitano il motto del “non mollare mai”, che li rende impermeabili a qualsiasi forma di dubbio, critica o, cosa impensabile, autocritica.

Quindi, la prossima volta che leggerete di un politico che si dimette, non credeteci, è solo una fake news proveniente da un mondo parallelo, dove le poltrone non hanno le calamite.

E dobbiamo pure ringraziarli, in quanto danno la stabilità politica e quel legame incrollabile, anche se a volte imbarazzante, con il potere che rende la nostra politica locale un’eterna e prevedibile commedia dell’assurdo.

Ma qui veniamo al secondo, fondamentale, pilastro dell’immobilità politica.

Se l’assessore in questione non ha la “stravagande idea di rassegnare le dimissioni di sua spontanea volontà, nessuno si sognerebbe mai di suggerirgliele.

Il “suggerimento” sarebbe visto come un atto di ostilità politica, grave da perdonare.

Figuriamoci poi l’atto estremo atto di ritirargli le deleghe.

Toccare le deleghe di un assessore è come toccare il suo Sacro Graal, non sia mai che il Sindaco o un altro pezzo grosso si macchi di un peccato così grave .

Semplicemente perché vige l’antico e saggio, per loro, detto della politica locale, sussurrato nei corridoi del potere “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te” o per dirla in maniera più nostrana “pari mali”.

A rigor di logica se ieri si sono ritirate le deleghe a Tizio, domani si dovrebbero ritirare anche a Caio e Sempronio.

Ma meglio tenersi il collega “scomodo” tra l’imbarazzo e l’indifferenza generale, perché la logica è una, se certe cose si ripetono puntualmente, il fatto non sussiste e nessuno è davvero colpevole.

E così, nel nome della “sacra solidarietà“, tutti restano al loro posto. Ad Maiora

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