I ministri Nordio e Piantedosi rischiano il processo; archiviata Meloni
La notizia dell’archiviazione della premier per il caso del generale libico Almasri – e, si dà per scontato, la richiesta di processo per i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano – ha mandato Giorgia Meloni su tutte le furie. “Si sostiene che due autorevoli ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte – scrive la presidente del Consiglio sui social – È una tesi palesemente assurda“.
I giudici: “Meloni informata ma difficile stabilire un suo ruolo attivo”
Il Corriere, riportando il dispositivo con cui il collegio per i reati ministeriali di Roma dispone l’archiviazione della premier (l’ipotesi era di favoreggiamento e peculato), cita testualmente: “In base a quanto riferito dal capo dell’Aise, Meloni era sicuramente informata” del fermo in Italia e del rimpatrio del generale libico Almasri su un volo di Stato, ma “non compare alcun elemento circa la portata, natura e finalità dell’informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle decisioni adottate”.
Dunque si resta nel campo indiziario, “non essendoci elementi dotati di gravità tali da affermare in che termini e quando la presidente del Consiglio sia stata preventivamente informata e abbia condiviso la decisione assunta in seno alle riunioni, rafforzando con tale adesione il programma criminoso”. E dunque, “non si può ipotizzare una ragionevole previsione di condanna“. Di qui la richiesta di archiviare la sua posizione.
Le lettere di ringraziamento del governo libico
Dal dispositivo emerge un fatto inedito, la presenza di due lettere che testimoniano come ci siano stati contatti fra i due governi dopo l‘arresto a Torino del torturatore libico, su cui pende un mandato di cattura internazionale. Nelle comunicazioni, indirizzate dall’ambasciatore di Tripoli al ministro degli esteri, Antonio Tajani, si fa esplicito riferimento al caso Almasri e “al raggiungimento di obiettivi comuni”. Quali sono questi “obiettivi comuni” fra Libia e Italia?
Ieri Meloni ha rivendicato la responsabilità politica dell’azione del governo, anche in questo caso: “A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”, ha precisato la premier.
Il tribunale dei ministri e i prossimi passaggi
L’esito delle indagini per i ministri Nordio, Piantedosi e per il sottosegretario Mantovano è diverso: rischiano il processo. A condurre le indagini è stato il tribunale dei ministri, l’organo competente per i reati commessi dal presidente del Consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. E’ formato da tre magistrati estratti a sorte ogni due anni in ogni distretto di Corte d’appello.
Dopo la chiusura delle indagini, se il tribunale decide di procedere, gli atti tornano alla procura, che deve chiedere l‘autorizzazione alla Camera del parlamento in cui sono stati eletti i ministri coinvolti – al Senato nel caso di Piantedosi, che non è parlamentare.
L’Aula è chiamata a votare a maggioranza assoluta e a scrutinio segreto l’autorizzazione a procedere. Deputati e senatori sono chiamati, insomma, a valutare se gli indagati abbiano agito per la tutela di un interesse dello Stato e se vadano processati o meno.
Il ruolo di Nordio, Piantedosi e Mantovano nel caso Almasri
I magistrati hanno indagato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per i reati di favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio. Dai suoi uffici non è mai arrivata la risposta che serviva per confermare la detenzione del generale libico Almasri dopo l’arresto a Torino. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è indagato per favoreggiamento e peculato. Sua la firma sul decreto di espulsione del ricercato, rimpatriato in Libia – di qui la contestazione di peculato – su un volo di Stato. Piantedosi e Nordio, riferendo in Aula, hanno motivato con la necessità di tutelare la sicurezza nazionale, rimpatriando un pericoloso criminale che non poteva rimanere a piede libero in Italia.
Il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega ai servizi segreti, in caso di processo dovrebbe rispondere di favoreggiamento e peculato.
I magistrati, concludendo le indagini, hanno ipotizzato un “disegno criminoso” che ha agevolato la fuga di un torturatore ricercato dalla Corte penale internazionale. Il governo italiano rigetta questa tesi, accusando a sua volta la procura e la Corte d’appello di non aver osservato la legge che imponeva la misura cauterale e di non aver lasciato scelta all’esecutivo se non l’espulsione.
Chi è Almasri: le tappe della vicenda
Figura di spicco della milizia islamista Rada, il generale libico Osama Almasri gestisce dal 2021 il principale carcere giudiziario di Tripoli. E’ accusato di crimini contro l’umanità e di guerra dalla Corte penale internazionale per torture, stupri e omicidi nei centri di detenzione libici, in particolare a Mitiga.
Nonostante il mandato d’arresto formale del 18 gennaio 2025, è stato liberato dal carcere di Torino e riportato in Libia con un volo di Stato italiano. Numerose testimonianze lo accusano anche di gestire il traffico di migranti e denaro. La sua presenza in Europa negli anni passati suggerisce un ruolo nei rapporti Italia-Libia sui migranti.
La prigione di Mitiga è stata definita dall’Onu un “lager” con gravi violazioni dei diritti umani. E Almasri è sospettato di dirigere personalmente abusi sistematici contro minoranze religiose e sessuali.
Fonte La7 di Giulia Avataneo
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