Caltanissetta 401
  • Home
  • Cronaca
    • Cronaca Internazionale
  • Politica locale
    • Politica
  • Rassegna stampa
    • Economia e Finanza
    • Riflessioni
    • Riceviamo e pubblichiamo
  • Cultura ed Eventi
    • Concorsi
    • Scuola
    • Tecnologia
  • Sport
  • Altro
    • Dalla provincia e dintorni
    • Ricette tipiche
    • Salute & Benessere
    • Meteo
Reading: “IL MODELLO SICILIA”, di Marinella Andaloro
  • Seguici
Font ResizerAa
Caltanissetta 401Caltanissetta 401
Cerca
  • Home
  • Chi siamo
  • News
    • Cronaca
    • Politica locale
    • Cultura ed Eventi
    • Sport
    • Rassegna stampa
    • Salute & Benessere
    • Riceviamo e pubblichiamo
    • Dalla provincia e dintorni
Follow US
© Caltanissetta401 | Realizzato da Creative Agency
Caltanissetta 401 > News > Cronaca > “IL MODELLO SICILIA”, di Marinella Andaloro
CronacaRiceviamo e pubblichiamo

“IL MODELLO SICILIA”, di Marinella Andaloro

Last updated: 11/12/2025 7:05
By Redazione 171 Views 11 Min Read
Share
SHARE

Mentre scorrono queste righe, la Sicilia sta silenziosamente dissipando parti essenziali della propria identità. Interi frammenti di storia, borghi, comunità, linguaggi, mestieri, stanno svanendo dal perimetro della coscienza collettiva, nell’indifferenza generale. Non lasciano rovine, ma vuoti: aule scolastiche mute, stazioni ferroviarie dismesse, piazze e strade buie avvolte dal silenzio, generazioni in fuga che portano con sé la memoria viva di un mondo millenario.

Ciò che sta scomparendo non si misura in metri quadrati: si tratta dell’estinzione lenta di culture che hanno plasmato il pensiero per secoli; della chiusura definitiva di botteghe artigiane dove il sapere si trasmetteva attraverso mani sapienti; della disgregazione di comunità che, per millenni, hanno trovato un equilibrio virtuoso tra uomo e territorio.

Eppure, mentre celebriamo il “Made in Italy” e vendiamo al mondo l’immagine delle nostre eccellenze, lasciamo morire gli ecosistemi che le hanno generate. Il paradosso è lampante: non manca solo il lavoro, manca l’infrastruttura minima per immaginare un futuro. Mancano servizi essenziali, connessioni fisiche e digitali, strumenti narrativi per proporre un’alternativa credibile alla migrazione urbana come destino obbligato.
Si assiste così alla desertificazione delle possibilità e degli immaginari: 155 comuni nelle 11 Aree Interne della Sicilia, pari al 40% della superficie regionale, con oltre 650.000 abitanti, svaniscono dalle priorità della politica.

Quando un territorio scompare dall’agenda pubblica, precipita in un vortice irreversibile: gli investitori lo ignorano, i giovani lo cancellano dalle loro mappe mentali, diventa un non-luogo, privo di futuro e di speranza.

E se invertissimo lo sguardo?
Se smettessimo di percepire i borghi come realtà da salvare e cominciassimo a considerarli risorse capaci di salvarci?

Non è un esercizio retorico, ma puro pragmatismo. Possediamo sotto gli occhi un patrimonio strategico inespresso che trattiamo come un problema sociale da mitigare con sussidi e pietismo. E invece questi luoghi potrebbero diventare laboratori viventi dove sperimentare modelli di sviluppo sostenibile irrealizzabili nelle metropoli: spazi umani dove innovare senza i vincoli delle grandi città; territori in cui la connettività digitale annulla gli svantaggi geografici.

La pandemia lo ha dimostrato: si può lavorare ovunque, la qualità della vita non è negoziabile, esiste un’alternativa al sovraffollamento urbano. Eppure non abbiamo costruito le condizioni per trasformare questa scoperta in scelta stabile con politiche strutturali.

Il valore che stiamo dissipando è immenso: economie circolari naturali, modelli di efficienza energetica, presidi territoriali capaci di prevenire disastri ambientali che poi paghiamo a caro prezzo. Lo spopolamento produce frane, alluvioni, dissesto idrogeologico: un territorio abbandonato all’incuria che si ribella.

È qui, in questo punto della riflessione, che le mie esperienze diventano rilevanti. Non come digressioni, ma come dimostrazione vivente della tesi.

Ho trascorso anni a costruire ecosistemi di innovazione in contesti ritenuti impossibili: aree industriali abbandonate a Dubai divenute poli culturali globali; quartieri militari dismessi a Pechino rinati come centri d’arte contemporanea; investimenti catalizzati a Baku grazie alla sola forza di una visione; rigenerazione culturale a Hong Kong dove il patrimonio storico è diventato valore economico. Da Masdar City a Istanbul, lo schema si ripete: i margini si trasformano in centri quando qualcuno osa vederli diversamente.

Eppure nessuno di quei luoghi possedeva ciò che abbiamo noi: una stratificazione culturale millenaria, saperi artigiani ancora vivi, paesaggi che sono opere d’arte, comunità con identità fortissime. Avevamo tutto, e lo abbiamo lasciato appassire.

Perché?
Perché manca una classe dirigente capace di guardare oltre il prossimo ciclo elettorale. Trattiamo i piccoli comuni come zavorre assistenziali, non come avamposti strategici per sperimentare il futuro.

Ma soprattutto perché in Sicilia, e questo va detto senza timore, esiste una mafiosità istituzionale strutturale, non episodica.
Dopo le stragi del 1992, la mafia siciliana ha mutato pelle, abbandonando la violenza esplicita per infiltrarsi nell’economia legittima attraverso i colletti bianchi, professionisti che operano nelle istituzioni e nelle imprese commettendo reati finanziari e amministrativi.

È nata una vera e propria Cosa nostra S.p.A., dove gli interessi criminali si intrecciano con quelli di dirigenti pubblici. Non si tratta di episodi isolati: la forza della mafia risiede nel consenso, ottenuto non solo con intimidazioni, ma attraverso una sofisticata ingegneria sociale fatta di assunzioni clientelari, reti di conoscenze, voti garantiti, complicità diffuse.
Dal 2020 al 2025 si contano oltre 250 indagati per appalti, nomine e scambi politico-amministrativi; la Sicilia è terza in Italia per numero di amministratori coinvolti. Una corruzione meno eclatante ma più strutturata, più integrata nel potere.

Le recenti inchieste hanno svelato intrecci tra mafia, imprenditori e apparati istituzionali: vecchi nomi che riemergono, nuovi colletti bianchi che occupano la gestione degli appalti e il riciclaggio di capitali. Un sistema dove la corruzione non è episodica, ma regolata e gerarchizzata.

Il sistema specialmente nei piccoli comuni è rodato, normalizzato e non improvvisato. E raramente fa notizia perché è sottile, quotidiana: Bandi su misura, progetti fantasma, fondi dispersi.

La mafia non è più solo militare: è burocratica, amministrativa, politica, professionale. Dalla convivenza siamo passati alla complicità, fino all’alleanza organica

Serve dunque una rottura radicale: Trasparenza assoluta, con tracciamento in tempo reale di ogni euro pubblico tramite piattaforme open data e blockchain. Partnership pubblico-privato vincolate da clausole stringenti, con milestone verificabili, penali per inadempienze e obblighi di impatto sociale certificato. Garanti indipendenti, terzi, tecnici dell’innovazione sociale che certifichino trasparenza e impatto, al posto degli intermediari politici.

Questi strumenti esistono già. Ciò che manca è la volontà, e in Sicilia, prima ancora della volontà, il coraggio di fare pulizia e di porre fine a un sistema che premia i peggiori.

La sfida non è tecnica: è politica e morale.
Significa decidere se continuare a tollerare un modello di corruzione strutturalmente regolato o se spezzarlo definitivamente. Significa connettere saperi locali e reti globali, immaginare una Sicilia policentrica dove la qualità della vita sia diritto, non privilegio metropolitano.

Il mio lavoro negli ecosistemi globali me l’ha insegnato con chiarezza: l’innovazione nasce ai margini, cresce dove ci sono regole chiare, prospera dove la visione diventa collettiva.

È possibile. L’ho visto accadere. L’ho contribuito a costruire.

Luoghi dimenticati sono diventati destinazioni ambite. Cervelli in fuga sono tornati con competenze globali. Startup hanno trasformato economie locali. Sempre grazie a tre pilastri: visione, trasparenza, coraggio.

Ho contribuito a creare ecosistemi di innovazione da Dubai a Hong Kong, da Baku a Istanbul. Ho lavorato con startup, acceleratori, fondi, governi. Ovunque ho visto lo stesso principio: l’innovazione non nasce dove ci sono più risorse, ma dove c’è più spazio per sperimentare. Dove la visione diventa catalizzatore. Dove si investe per generare valore condiviso, economico, sociale, culturale, supportati da regole chiare e controlli efficaci.

Il momento è ora.
Non possiamo sopportare altri cicli di annunci senza esiti, di bandi che producono visibilità ma non impatto, di fondi che si disperdono nel sistema opaco descritto dalle procure. Serve un cambio di passo netto.

Perché i piccoli comuni siciliani non sono un problema: sono un’opportunità strategica. Laboratori dove reinventare il rapporto tra economia e territorio, tra sviluppo e sostenibilità, tra innovazione e identità. Spazi dove offrire ai giovani una narrazione nuova: non fuga obbligata, ma ritorno consapevole in comunità capaci di evolvere senza snaturarsi.

Non è nostalgia. Non è folklore.
È strategia economica, è coesione sociale, è valorizzazione ambientale.
È la possibilità concreta di costruire un modello di sviluppo che il mondo ci invidierebbe, se solo avessimo il coraggio di realizzarlo.

Un coraggio che passa dalla trasparenza, dalla meritocrazia, dalla rottura dell’alleanza organica tra mafia militare e colletti bianchi che la magistratura descrive come “un’unica struttura”.

La domanda non è se abbiamo le risorse: le abbiamo.
La vera domanda è se abbiamo la visione per investirle bene e la trasparenza per farlo in modo integro.
Perché il costo del non fare, o del fare male, è ormai insostenibile. E in Sicilia, più che altrove, lo sappiamo da molto, troppo tempo.

——————

Per rimanere aggiornato sulle ultime notizie locali segui gratis il canale WhatsApp di Caltanissetta401.it https://whatsapp.com/channel/0029VbAkvGI77qVRlECsmk0o

Si precisa: La pubblicazione di un articolo e/o di un’intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell’autore e/o dell’intervistato che ci ha fornito il contenuto. L’intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull’argomento trattato, caltanissetta401.it è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d’interpretazione.                                                 

You Might Also Like

AREA CIVICA, nuova sede in viale Trieste n.1, una “casa”

Meteo, in Settimana tornano Piogge battenti e Temporali, ecco dove

Ornicoltori Nisseni trionfanti a Cesena: Messineo e Miccichè brillano alla Mostra Piume

Cosa si manga a Santa Lucia? Ovviamente Arancine e Cuccia

Arriva la videocamera per il WC che analizza le tue feci e ti dice se sei in salute: la rivoluzione dell’AI nel bagno

TAGGED:CronacaMarinella AndaloroRiceviamo e pubblichiamo
Share This Article
Facebook Twitter Whatsapp Whatsapp Email Copy Link Print
Caltanissetta 401
Direttore responsabile 
Sergio Cirlinci

93100 Caltanissetta (CL)

redazione@caltanissetta401.it
P:Iva: 01392140859

Categorie

  • Cronaca
  • Cultura ed Eventi
  • Politica locale
  • Rassegna stampa
  • Sport

Categorie

  • Concorsi
  • Dalla provincia e dintorni
  • Finanza
  • Giovani e Università
  • Sanità

Link utili

  • Chi siamo
  • Privacy & Cookie Policy

Caltanissetta 4.0.1 è una testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Caltanissetta n.03/2024 del 21/08/2024. | Realizzato da Creative Agency

Username or Email Address
Password

Lost your password?