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Impostura di Stato. Di Marinella Andaloro

Last updated: 21/09/2025 6:46
By Redazione 196 Views 5 Min Read
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Quell’antimafia che ha bisogno della mafia per sopravvivere

Il vero scandalo non è soltanto la mafia.
Il vero scandalo è la sua ombra speculare: quella mafia dell’antimafia che si proclama baluardo di giustizia, ma che vive e prospera grazie alla sopravvivenza stessa del fenomeno criminale che dice di combattere.

Non è finita con Montante. Non si è dissolta con i processi né si è estinta nelle aule dei tribunali. È ancora qui: viva, vegeta, radicata nei gangli delle istituzioni e nei salotti “buoni” dell’economia e della politica. Un apparato che ha fatto dell’antimafia non una missione, ma un mestiere. Non un dovere civile, ma una rendita di potere.

È un’intera architettura istituzionale che prospera sulla sopravvivenza del crimine.

Questo è il cuore dell’impostura di Stato.
Un sistema che non ha alcun interesse a vedere la mafia sconfitta, perché senza mafia finirebbero i loro convegni, le loro passerelle, i loro proclami solenni. Finirebbero gli applausi ipocriti, i finanziamenti pubblici, le carriere costruite sulla pelle delle vittime.

È il più pericoloso dei paradossi: un’antimafia che si nutre della mafia, che non vuole vincere la guerra ma solo prolungarla all’infinito, trasformando la tragedia in palcoscenico.

Certa antimafia si è trasformata in una macchinazione di potere. Un vero e proprio potere parallelo.

E intorno, domina il silenzio.
Un silenzio che non è prudenza, ma complicità. Un mutismo che non è cautela, ma connivenza. Politici che si trincerano dietro tatticismi, imprenditori che predicano legalità e praticano ambiguità, professionisti che si pavoneggiano come eroi civili ma agiscono da calcolatori cinici.

«Qui tacet, consentire videtur».
Chi tace acconsente. E il silenzio istituzionale è un atto di tradimento.

Così la “lotta alla mafia” diventa un’etichetta vuota, uno slogan elettorale, una merce di scambio buona per ottenere titoli di giornale ma inutile per restituire dignità a una terra che continua a essere sfruttata e tradita.

La verità è brutale: questa non è antimafia. È impostura. È il volto rispettabile dell’ipocrisia istituzionale. È lo Stato che si piega a un gioco infame, in cui la mafia non deve morire perché la sua esistenza è funzionale a chi finge di combatterla.

E allora la domanda diventa implacabile:
fino a quando?
Fino a quando dovremo tollerare che l’antimafia diventi parodia di se stessa?
Fino a quando accetteremo che i custodi della legalità tradiscano il loro mandato, trasformando la giustizia in una maschera utile solo a conservarsi il potere?

La Storia non dimentica.
E prima ancora dei tribunali, sarà la memoria collettiva a condannare questa impostura di Stato, che non difende i cittadini ma li abbandona, che non combatte il crimine ma lo gestisce, che non cerca verità ma la seppellisce sotto la polvere delle passerelle.

Il silenzio, in democrazia, non è mai neutrale. È colpa. È complicità.
E quando questa complicità, questo ordine occulto, diventa sistema, ha un nome preciso: impostura di Stato.

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