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Italia e Germania rivogliono indietro l’oro depositato nei forzieri Usa

Last updated: 24/06/2025 6:17
By Redazione 134 Views 6 Min Read
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In base alle ricostruzione del Financial Times i due Paesi, preoccupati per l’instabilità internazionale, ma soprattutto terrorizzati dalla tentazione di Trump di mettere mano alla Fed, stanno cercando di riporatere a casa le proprie riserve d’oro depositate a Manhattan

Correva l’anno 2019 e una battagliera Giorgia Meloni, dai banchi dell’opposizione, per scongiurare il rischio tempesta finanziaria batteva i pugni sullo scranno e pretendeva di «rimpatriare subito le riserve auree italiane».

In quell’anno la mozione di FdI era stata sonoramente bocciata, ma l’aspirante premier aveva affermato: «La nostra mozione per il rimpatrio dell’oro italiano è stata bocciata da tutte le altre forze politiche, ma il futuro governo di Fratelli d’Italia restituirà l’oro agli italiani. È una promessa!».

Promessa non mantenuta. E promessa che non è sfuggita all’occhiuto Financial Times, che dedica un approfondimento all’imbarazzo di Germania e Italia, Paesi detentori, rispettivamente, della seconda e della terza riserva aurea nazionale più grande al mondo dopo gli Stati Uniti, con riserve rispettivamente di 3.352 tonnellate e 2.452 tonnellate, secondo i dati del World Gold Council. Ora, il problema è che gran parte dei lingotti non si trova nei caveau della Banca d’Italia, bensì è affidata alla cura della Federal Reserve di New York a Manhattan. In Germania c’è un ex eurodeputato di Die Linke, entrato a far parte del partito populista di sinistra Bsw che al Financial Times ha dichiarato che ci sono «forti argomentazioni» a favore del trasferimento di una maggiore quantità di oro in Europa e in Germania «in tempi turbolenti», anche in Italia si inizia a osservare con preoccupazione il futuro non solo della Federal Reserve – presa di mira dal presidente Donald Trump -, ma dell’intero sistema di equilibrio e pace internazionale fortemente messo in discussione dall’attacco degli Stati Uniti all’Iran e da un corollario di guerre che potrebbero sfociare in qualcosa di più massiccio.

Che la situazione internazionale si stia pesantemente deteriorando dal punto di vista economico, oltre che civile visto che sul campo ci stanno parecchie vittime umane, portando a una situazione di forte instabilità, lo confermano le Borse e, nel dettaglio, il listino relativo all’oro nero, il cui prezzo sta lievitando velocemente. Non solo l’intervento militare Usa induce il timore dell’allargamento del conflitto e quindi fa salire la speculazione sul barile, ma si temono effetti a cascata come, ad esempio, il blocco dello stretto di Hormuz, tra i più essenziali per il passaggio del petrolio.

Vero è che neppure nei momenti di maggiore tensione, negli anni ’80, quella via di comunicazione è mai stata chiusa, perché da lì passano scambi mercantili essenziali per l’Iran e per la Cina, ma come molti economisti stanno facendo notare, dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, su fronte economico e strategico si naviga a vista. Perché dai dazi in poi ogni regola di mercato è saltata.

Da qui, dunque, le Borse internazionali in altalena. Le altre borse europee tentano il rimbalzo, ma poche ci riescono, mentre la borsa di Milano resta in territorio negativo. Incertezza anche sul fronte dei future americani. I trader si attendono un’apertura volatile dopo gli attacchi Usa in Iran, che hanno aumentato le poste in gioco nei settori energetico e della difesa.

La posizione dell’Europa è parecchio fragile, perché sta rischiando di perdere l’ombrello protettivo degli Usa e, forse anche per questo, la Taxpayers Association of Europe ha inviato lettere ai ministeri delle finanze e alle banche centrali di Germania e Italia, esortando i responsabili politici a riconsiderare la loro dipendenza dalla Fed come depositaria del loro oro, come riferisce il Financial Times. «Siamo molto preoccupati che Trump possa manomettere l’indipendenza della Federal Reserve Bank», ha dichiarato al FT Michael Jäger, presidente della TAE, che ha aggiunto: «La nostra raccomandazione è di riportare l’oro – tedesco e italiano – in patria per garantire che le banche centrali europee ne abbiano un controllo illimitato in qualsiasi momento».

Ecco quindi che i video e i comunicati di una Meloni all’opposizione, che reclamava il rimpatrio dell’oro nostrano, tornano di grande attualità. E soprattutto la sua promessa di riportare l’oro in patria non appena FdI fosse salito al governo.

Poi, ovviamente, insieme al taglio delle accise sulla benzina, anche questa promessa è stata dimenticata dalla premier. Anzi, non se ne parla proprio, perché nel frattempo Meloni è diventata grande amica di Trump. Quindi, mentre in Germania qualcosa si sta effettivamente muovendo per riportare in Europa l’oro dei tedeschi, quello degli italiani resta a Manhattan, sottoposto alle volontà del tycoon. Già perché il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato all’inizio di questo mese che potrebbe dover «forzare qualcosa» se la banca centrale statunitense – cioè la Fed – non riducesse i costi di prestito. Un’affermazione che ha preoccupato molti analisti internazionali.

Eppure, in base alle informazioni raccolte dal quotidiano economico FT, entrambi i Paesi, sia la Germania, sia l’Italia, starebbero avviando trattative per riportare in patria l’oro depositato oltreoceano. 

Fonte L’Espresso di Gloria Riva

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