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La Dc si scopre primo partito. Riparte l’eterno duello tra Cuffaro e Lombardo

Last updated: 05/05/2025 6:40
By Redazione 212 Views 5 Min Read
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Lo Scudocrociato strappa un consigliere a FdI, conquista il primato a Sala delle Lapidi e chiede
il rimpasto in giunta

Cresciuti sotto l’egida di Mannino, hanno rotto nel 2010 ma si sono alleati nel governo Schifani

Figli dello stesso padre politico senza essere fratelli. Totò Cuffaro da una parte, Raffaele Lombardo dall’altra.

Lo stesso che alla vigilia delle Regionali del 2022 li invitava, insieme a Saverio Romano e Mimmo Turano, a fare liste comuni all’Ars e creare poi un nuovo soggetto politico per far ruggire di nuovo la Balena bianca.

La storia è andata diversamente. E Lombardo e Cuffaro, l’un contro l’altro armati, sono tornati a sfidarsi, sebbene alleati a sostegno di Renato Schifani, in due liste che hanno ottenuto un risultato elettorale non distante: il 6,8% il primo, il 6,5% il secondo.
Il meccanismo di ripartizione dei seggi ha fatto il resto: alla Dc di Cuffaro sono scattati cinque deputati all’Ars, ai Popolari e autonomisti di Lombardo e Romano solo quattro (tutti autonomisti). Col risultato di avere assegnati due assessori cuffariani in giunta e un portabandiera Mpa.

La guerra, nel recente passato, non si è mai sopita da allora. Ritorna alla luce dello scontro sulle Provinciali, con la coalizione di centrodestra che non è riuscita a trovare la quadra e si è vista sfilare da sotto al naso tre presidenze su sei nei Liberi consorzi.
Adesso Lombardo chiede un riequilibrio in giunta alla luce del nuovo risultato elettorale.

Di contro, i democristiani hanno conquistato un nuovo consigliere comunale a Palermo, Natale Puma, fedelissimo dell’ex assessore comunale Andrea Mineo, eletto in Forza Italia e passato sotto l’ala cuffariana dopo una breve parentesi meloniana.
Elemento non secondario, che porta la Dc a diventare il primo partito a Sala delle Lapidi alla pari dei berlusconiani e dei Fratelli di Sicilia.
Così la replica sul riequilibrio della giunta Schifani al co-fondatore di Grande Sicilia — in asse con Roberto Lagalla e Gianfranco Micciché — arriva dal segretario regionale della Dc, Stefano Cirillo.
Parla di «ipocrisia politica» come unica vincitrice delle elezioni provinciali, in cui la Dc ha corso da
sola a Ragusa e contro Forza Italia e gli autonomisti ad Agrigento, perdendo entrambe le sfide. E attacca: «Se per rimettere insieme le tante ipocrisie si deve, come dice Raffaele Lombardo, ripartire dal rimpasto nel governo di centrodestra, dia lui l’esempio e parta da Palermo, dove il sindaco è espressione del suo nuovo partito. Lo faccia dando equilibrio al giusto peso che hanno i partiti in giunta, cominciando proprio dalla Dc che ha sei consiglieri e un solo assessore».
Concetto espresso già lo scorso 29 aprile, quando nel corso di un vertice di maggioranza al Comune
all’indomani del risultato delle Provinciali, la Dc ha chiesto la verifica politica della maggioranza prima di passare al vaglio del tavolo nuove proposte per il governo della città.
L’ultimo capitolo di uno scontro senza esclusione di colpi che parte da lontano, dagli inizi della militanza dei giovani Cuffaro e Lombardo nella Dc che fu di Mannino. Fino a quando a seguire l’ex senatore Mimmo Sudano nella neonata Udc fu Lombardo.

Per la prima rottura tra i due figli di Mannino che hanno rifiutato di essere fratelli bisognerà attendere il 2008, quando l’allora governatore di Grammichele rifiutò di dare l’assessorato alla
Sanità al cuffariano Nino Dina.

Poi nel 2010 arriva il divorzio formale, quando Saverio Romano dà vita con i cuffariano al gruppo parlamentare del Pid.

Poco dopo, nel 2011, Cuffarò andrà in carcere per favoreggiamento.
Da allora è stata guerra a tutti i livelli.

Fino alla nascita della Dc nuova rifondata da Cuffaro dopo aver scontato la pena. Un nuovo Scudocrociato, stroncato da Lombardo nel novembre del 2023 in una iniziativa di partito ad Agrigento: «La Dc è stata la nostra vita politica e la nostra storia. Ho iniziato a 15 anni in quel partito, ma poi ha chiuso i battenti nel ‘92-94. Certamente conserviamo quei valori, ma l’Mpa non ha nessuna pretesa di definirsi erede di una formazione politica che appartiene alla storia e nessuno
è legittimato a proseguire. Mancano le condizioni politiche, storiche e non ci sono certamente leader
dello spessore e del valore di Moro, Fanfani, Andreotti, Mattarella, Nicolosi e Mannino».

L’ennesimo capitolo di uno scontro tra fratelli mancati con lo stesso padre politico, che ha tutto il sapore di voler arrivare fino alle prossime Regionali.

Da laRepubblicaPalermo

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