Urban Center. Giornalista coraggioso e indipendente, Sigfrido Ranucci ha presentato il suo libro dove si racconta come professionista e lo fa parlando anche delle sue fragilità
Più di trecento persone hanno accolto con interesse e curiosità Sigfrido Ranucci in un incontro organizzato da Marilia Di Giovanni (libraia) con la partecipazione di Maria Olivella Rizza, docente universitaria.
Giornalista coraggioso e indipendente, forse il più querelato in Italia, ha presentato “La scelta”, edito
da Bompiani.
Il libro ha venduto più di cinquantamila copie ed è l’autoritratto di un uomo che, nonostante la pressione costante della realtà non smette mai di chiedersi e di chiederci: “Qual è la scelta giusta?”.
La forza di Report (il programma che ha fatto la storia nell’ambito del giornalismo investigativo in tv) è nella scelta di offrire ai cittadini spaccati di realtà, di verità.
Nel libro il giornalista si racconta come professionista e come uomo, e lo fa a testa alta, raccontando anche le sue fragilità.
Ha fatto del giornalismo di inchiesta la sua ragione di vita.
Anche fare il giornalista oggi è una scelta.
Se n’è mai pentito? «Non so se saprei fare altro. Mi ha sempre appassionato il racconto, l’idea di poter essere utile alle persone e soprattutto ai più fragili e credo che la sintesi sia nel giornalismo
di inchiesta, nel cercare di illuminare le zone d’ombra e provare a consegnare alle generazioni future un mondo migliore».
In Italia c’è libertà di stampa, anche in riferimento alla “legge bavaglio”?
«Il tema della legge bavaglio è serio perché ci stiamo indirizzando verso una sorta di oblio di Stato. Le leggi che hanno approvato ultimamente, il carcere per i giornalisti che veicolano informazioni illecitamente raccolte è un paradosso. Basti pensare alle inchieste che sono state fatte da Report anche con alcuni consorzi di giornalismo internazionale come ICIJ che con “Panama papers”
hanno rivelato al mondo i paradisi fiscali e sono stati premiati con il Pulitzer: per questo e qui si
rischia il carcere, vuol dire che qualcosa non funziona».
È il giornalista più querelato, sotto scorta da tre anni. Le manca qualcosa rispetto a prima?
«Non ho mai frequentato salotti o società bene. Essendo sempre uno che ha vissuto in strada vivo la scorta come una sorta di famiglia allargata. Certo, magari vorresti avere i tuoi momenti di intimità e in alcuni momenti non li puoi avere, però alla fine devo dire che tutti i ragazzi che ho avuto al fianco fino ad ora, sono stati tutti deliziosi. Hanno condiviso un percorso di strada e un progetto di vita e li ringrazio».
Era il 2006 quando Milena Gabanelli la chiamò per entrare a far parte di Report.
Aveva detto di no a Floris, a Santoro. Come mai accettò?
«Perché il mio direttore Roberto Morrione era andato in pensione e non essendo più possibile quel tipo di giornalismo, decisi di accettare. Ed è stata la mia fortuna. È un progetto che scelgo giornalmente di difendere. È bellissimo, entusiasmante ma molto faticoso”
