Vedendo la vignetta, allegata sotto e in copertina, pubblicata nel gruppo Facebook “Popolo di Sicilia”, mi è venuto spontaneo fare una riflessione
Viviamo in un’epoca strabiliante, ricca di nuove tecnologie, i robot lavorano da soli nelle case e nelle fabbriche, le auto si guidano quasi in autonomia e l’intelligenza artificiale compone sinfonie, scrive testi e perfino diagnostica malattie con una precisione di un luminare.
Abbiamo creato macchine capaci di processare dati a velocità inimmaginabili, abbiamo, insomma, dato vita al “cervello elettronico” che promette di rivoluzionare ogni aspetto della nostra esistenza, ovviamente con i suoi pro e i suoi contro.
Poi però basta aprire un social network, accendere la TV o semplicemente il ritrovarsi al bar o a cena con amici e ci si rende conto che, nonostante tutti questi progressi tecnologici, siamo ancora circondati da un’abbondanza sorprendente di “scimuniti naturali”.
Nessuno si offenda, l’ironia è importante, perché delle volte è meglio farsi delle belle risate e non prendere sul serio persone e teorie.
Mentre ingegneri hanno studiato anni e anni e fatti tantissimi esperimenti e ricerche, stessa cosa per medici e ricercatori, il “genio esperto” di turno spiega, come fosse stato lui ad aver scoperto la fissione nucleare, che il cambiamento climatico è un’invenzione dei poteri forti, che i vaccini contengono microchip, che la Terra è piatta o che quello che dicono gli addetti ai lavori, esperti e illustri luminari, sono fesserie.
E non è che dice “sembra che” o “potrebbe essere”, no, lo dice con un tono di chi sa convintamente.
Ma esattamente cosa, non si comprende bene. E se qualcuno osa contraddirlo, arriva la risposta “è così, io mi informo, mentre voi vi fidate di quello che vi raccontano e che vi vogliono far credere”.
Se poi gli si dimostra che non è esattamente come sostiene, con dati alla mano o portando argomentazioni di chi realmente ne capisce, abbandona la conversazione, ricordando che si è fatto tardi…“ne riparliamo la prossima volta”, cioè mai più.
Il bello o il tragico è che questi “geni del fai-da-te” non si limitano a esprimere un’opinione ma certezze.
Perchè loro si ergono a depositari di verità assolute, quelle che spesso sanno solo loro o chi la pensa come loro, smontando con un’alzata di spalle anni di ricerche scientifiche, pubblicazioni accademiche e il lavoro di intere équipe di persone che hanno dedicato la loro vita allo studio di uno specifico settore.
Si citano dati, studi, fonti autorevoli e loro vi guardano con quell’aria di sufficienza mista a compatimento, come se tu fossi il povero illuso vittima del “sistema” o del “mainstream”, che fino a che non glielo spiegava qualcuno, pensavano fosse un gruppo rock americano.
“Ma ‘iddri cu su’?” indicando i premi Nobel, i ricercatori, i professori universitari. “Loro che ne sanno? Io ho letto un post su Facebook, l’ho letto bene, lo ha pure condiviso mio cugino, quello che unni u tucchi tucchi sona”, per dire che sa ogni cosa.
Il tutto è molto divertente e, volendola prendere con “filosofia”, mentre i veri esperti si sforzano per trovare soluzioni e rimedi, una parte dell’umanità sembra sapere già tutto e con la certezza di saper dimostrare l’esatto contrario.
Si spendono miliardi su miliardi nella ricerca, ore e ore di studi quando potevamo ascoltare questi “esperti” e i loro “cugini” che, senza mai aver aperto un libro sull’argomento, si sentono autorizzati a smentire chi invece ha studiato una vita.
Forse l’intelligenza artificiale non dovrebbe limitarsi soltanto a gestire il traffico dei dati, per agevolare alcuni processi, forse dovrebbe essere programmata per inoculare un po’ di sano buon senso, consapevolezza e umiltà in chi si arroga il diritto di sapere tutto.
Per il momento ci rassegniamo nel guardare, con un misto di stupore, rassegnazione e, perchè no, anche con un sano umorismo questo spettacolo della natura umana, armati solo di tanta pazienza e confidando nella speranza che, un giorno, l’evoluzione faccia il suo corso o che l’IA ci dia una mano a capire come sopravvivere a tanto sapere senza mai aver studiato. Ad Maiora

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