Cari concittadini, amanti della democrazia e, soprattutto, della satira, preparatevi a un viaggio esilarante nel fantastico mondo della politica locale, dove il “ne bis in idem” è un optional e l’autoironia un miraggio.
Oggi vi parleremo di un fenomeno che, come i funghi dopo la pioggia, o, più precisamente, dopo un’alluvione di querele, spunta ciclicamente dalle nostre parti.
I novelli Marchesi del Grillo, però non quelli che “io so’ io e voi non siete un cazzo”, ma quelli che “io so’ io e voi, se mi criticate, vi querelo”.
Perché la libertà di parola, dalle nostre parti, è un po’ come il Wi-Fi pubblico, tutti ne parlano bene, peccato che funziona a singhiozzo e solo se sei vicino al ripetitore.
Prendete il caso dei nostri “eroi” locali.
Non una, ma ben due volte, almeno di queste sappiamo, hanno avuto la brillante idea di trascinare in tribunale dei poveri cristi, i cittadini, rei di un crimine efferato, l’aver espresso un’opinione e azzardato critiche.
Sì, avete capito bene, non atti di terrorismo, anche se qualcuno parlava di “gruppi orribili” e “personaggi poco raccomandabili”, ottenendo pure la solidarietà di tanti colleghi, non parliamo neanche di frodi colossali, ma di semplici e lecite critiche.
Critiche all’operato politico, sia chiaro, alle scelte, al modo di rapportarsi con la plebe, cioè noi.
Un po’ come se un critico gastronomico venisse querelato dal cuoco per aver detto che la pasta era scotta o mancava di sale.
Assurdo direte voi. Certo che sì, ma qui siamo nel paese delle meraviglie e delle querele facili.
Il bello, anzi il tragico-comico, è che il sipario si è chiuso con l’ennesima e fragorosa vittoria dei querelati, nonostante i supplementari.
E le accuse? Archiviazioni su tutta la linea con una sana reprimenda verso i querelanti.
Un tripudio di “non luogo a procedere” o “i fatti non sussistono”, abbondantemente motivati, insomma un “ma che diavolo volevate fare”
La giustizia ha detto la sua, e ha detto che sì, in Italia si può ancora, speriamo non per poco, criticare un politico senza risarcire il presunto danneggiato, o peggio, finire in gattabuia.
Ma al di là del verdetto e della soddisfazione, resta è un retrogusto amaro, quasi acido, l’arroganza del potere.
Quell’idea che il politico, una volta insediatosi, anche per intercessione divina, o meglio, di qualche accordo, diventi intoccabile, immune da qualsiasi appunto.
Un po’ come se la carica amministrativa conferisse l’immunità diplomatica.
Un’ostinazione che dimostra una palese incapacità di accettare il dissenso, di confrontarsi, di fare politica con la “P” maiuscola, quella che non teme il contraddittorio ma al contrario lo cerca per crescere e migliorarsi.
E qui arriva il pezzo forte, la ciliegina sulla torta.
Spesso, a imbracciare l’arma della querela, sono proprio coloro che dalle urne ne sono usciti con le ossa rotte, sonoramente bocciati dai cittadini.
Quei personaggi che, non essendo riusciti a entrare dalla porta principale, cioè con il voto popolare, si sono inventati un’entrata dalla finestra, grazie a mirabolanti accordi politici che, guarda caso, vengono rispettati un po’ a fasi alterne, più che altro quando fa comodo.
E una volta seduti, ecco che la modesta poltrona si trasforma in un trono inespugnabile, da difendere a suon di avvocati e denunce.
Insomma, il “ne bis idem” alla nostra maniera è la dimostrazione che, a volte, la peggiore vendetta non è una sconfitta elettorale, ma l’incapacità di accettarla.
E i nostri novelli Marchesi del Grillo, pur avendo incassato un sonoro “due bis” giudiziario, continuano a dimostrare che la lezione, seppur impartita con sentenza, non è ancora stata imparata.
Forse, la prossima volta, invece di avvocati, converrebbe rivolgersi a un buon umorista, magari li aiuterebbe a ridere un po’ di più e a querelare un po’ di meno.
Chissà se queste non certo belle figure saranno la goccia che faranno traboccare il vaso, se non altro per evitare di bagnarsi tutti.
Ma veramente credono che la querela sia diventata uno strumento per zittire il dissenso, soprattutto da parte di chi non ha avuto il consenso popolare?
Vedremo se anche questo articolo sarà oggetto di “attenzioni”. Ad Maiora
