Un tempo baluardo di giustizia e presidio di libertà, l’Avvocatura rischia oggi di smarrire la propria essenza, travolta da un contenzioso che si fa strumento di potere anziché espressione di equità.
I tribunali, nati per essere templi della verità, sempre più spesso si trasformano in arene dove non prevalgono il diritto e la ragione, ma la forza di chi sa piegare le regole ai propri interessi.
L’Avvocato non è un semplice esegeta della norma, ma il custode della giustizia, l’ultimo argine contro l’arbitrio, la voce di chi non ha voce.
La toga che indossa non è un mero paramento, ma il vessillo di un impegno che trascende l’individuo e si radica nei fondamenti dello Stato di diritto.
Eppure, la degenerazione del sistema giuridico minaccia di soffocare questa missione, premiando non la sapienza del giurista, ma l’abilità di chi sa destreggiarsi tra le insidie di un apparato sempre più asservito a logiche di convenienza e sopraffazione.
Non vi è giustizia laddove il diritto diviene strumento di intimidazione, la querela si trasforma in arma di ritorsione e la legge, anziché proteggere i deboli, si presta a rafforzare i privilegi dei forti.
Troppi processi non sono celebrati per ripristinare un diritto violato, ma per soffocare il dissenso e ridurre al silenzio chi osa denunciare le distorsioni di un sistema che, anziché garantire equità, alimenta discriminazioni e prevaricazioni.
Difendere i diritti, smascherare gli abusi, opporsi all’arbitrio non sono scelte, ma obblighi morali incisi nella coscienza di chi indossa la toga con onore. Eppure, le aule di giustizia si riempiono di cause pretestuose, strumenti di vendetta travestiti da atti di diritto, mentre le vere battaglie, quelle che decidono le sorti della libertà e della dignità umana, vengono relegate ai margini.
Essere Avvocato significa assumere una responsabilità che trascende il singolo patrocinio e investe la difesa stessa dei principi fondanti della civiltà giuridica.
Non è difendere un caso, ma custodire il diritto nella sua essenza più pura, opponendosi con fermezza a ogni abuso, anche quando si ammanta delle parvenze della legalità.
L’Avvocatura non è un mero esercizio di tecnica giuridica, ma un baluardo di libertà, una forza che si oppone alla discriminazione, alla sopraffazione, alle infiltrazioni mafiose che si insinuano nelle istituzioni.
La vera ingiustizia non è solo quella che si consuma con la violenza, ma anche quella che si cela dietro la burocrazia e piega la legge a strumento di dominio anziché di equità.
Essere Avvocato non è un mestiere, ma un giuramento inciso nell’anima, una vocazione che non si esaurisce nella perizia tecnica, ma si manifesta nella lotta quotidiana contro ogni sopruso.
È il coraggio di farsi carico delle sofferenze altrui, di trasformare la disperazione in speranza, la paura in dignità riconquistata.
Pietro Calamandrei ci ha ammonito che l’Avvocato non è un mero interprete delle leggi, ma il garante della giustizia sostanziale.
La toga non è simbolo di privilegio, ma di responsabilità: chi la indossa ha il dovere di resistere a ogni forma di arbitrio, di non piegarsi all’opportunismo, di non ridurre la Giustizia a un simulacro vuoto.
Denunciare la corruzione, smascherare chi piega il diritto alle proprie convenienze, non è sovversione, ma dovere civico.
Finché anche un solo diritto sarà negato, un’ingiustizia taciuta, un uomo privato della propria dignità, l’Avvocato avrà il dovere di opporsi.
Perché non vi è giustizia laddove manca il coraggio di difenderla.
Marinella Andaloro
