Scrivo da Lisbona, dove sto partecipando al WebSummit 2025 per lavoro. In questi giorni sento parlare continuamente di intelligenza artificiale, automazione dei processi, trasformazione del lavoro. E mentre ascolto queste riflessioni globali, mi arrivano le notizie dalla mia terra – Caltanissetta e San Cataldo – sulla vicenda Telecontact. Ho letto delle mozioni del Consiglio comunale di San Cataldo e della preoccupazione dell’Amministrazione di Caltanissetta per i lavoratori coinvolti. La solidarietà è sacrosanta, e va espressa senza esitazioni.
Ma c’è una parte del dibattito che manca completamente: la comprensione di ciò che sta accadendo davvero.
Qui al WebSummit non parlano di “scelte aziendali” o “riorganizzazioni”: parlano del fatto che l’intelligenza artificiale sta assorbendo una parte enorme dei lavori ripetitivi. Call center, catene di montaggio, data entry, processi standardizzati: sono i primi settori investiti dall’ondata.
La tecnologia che vedo presentata qui non è futuristica: è già in produzione. E questo non significa che i lavoratori siano inutili o “da sostituire” – nessuno lo pensa. Significa che il mondo del lavoro è in trasformazione, e che la difesa delle persone non può basarsi sulla negazione di ciò che succede.
E qui vorrei fare una riflessione personale.
Vengo da una famiglia come tante nel Nisseno. Quante volte abbiamo sentito frasi come:
- “Lascia perdere il mestiere di parrucchiere, vai al Nord in fabbrica.”
- “Che ci fai a fare l’elettricista? Entra in un call center, è più sicuro.”
- “Meglio un lavoro fisso che un mestiere manuale.”
Generazioni di ragazzi sono stati convinti a rinunciare a competenze manuali preziose – elettricisti, idraulici, parrucchieri, falegnami – per cercare stabilità in settori che oggi sono proprio i più fragili.
E questo messaggio continua, ancora oggi, a circolare.
Io lo dico con sincerità, e senza spirito polemico:
Se c’è un momento in cui dovremmo scendere in piazza, non è quando un giovane trova lavoro in un call center. È quando viene spinto ad abbandonare la sua competenza autentica per un lavoro che l’automazione sta già erodendo.
È lì che dovremmo arrabbiarci.
È lì che dovremmo far sentire la nostra voce.
Non per accusare qualcuno, ma per difendere il futuro dei nostri figli.
E lo dico da padre di due bambini piccoli, che ho deciso di crescere a San Cataldo.
Vorrei che vivessero in un territorio che guarda al mondo, che riconosce i trend globali, che educa con coraggio, che non rimane incastrato in un’idea di “posto fisso” che non esiste più.
Vorrei che crescessero in un contesto che valorizza davvero le competenze – manuali, tecniche, digitali – e che offre prospettive reali, non illusioni.
Per questo credo che un messaggio chiaro e onesto sia la prima forma di tutela possibile.
Non possiamo permetterci di raccontare ai giovani che tutto funzionerà come prima.
Non possiamo lasciarli impreparati davanti a un mondo che cambia.
Non possiamo continuare a considerarli “salvi” quando vengono assorbiti in settori che l’automazione sta rendendo sempre più instabili.
La questione Telecontact merita rispetto e attenzione, ma è anche l’occasione per porci una domanda fondamentale:
che messaggio stiamo dando alle prossime generazioni?
Non è una battaglia politica.
È una questione di responsabilità verso chi verrà dopo di noi.
E dire la verità, oggi, è il primo atto di tutela.
Non per dividere, ma per preparare.
Non per criticare, ma per educare.
Non per creare paure, ma per dare prospettive.
Il futuro del Nisseno dipende dalla capacità di guardare in faccia questi cambiamenti e di accompagnare le persone – adulti e giovani – a vivere nel mondo così com’è, non come era vent’anni fa.
Lisbona, 13 novembre 2025 –Fabrizio Lipani
