La premier italiana: si parli di sicurezza e non solo di riarmo. I soldi che spenderemo valgano anche per i target Nato. Asse con Berlino per cambiare il Patto di Stabilità
È un metodo nuovo, mai utilizzato prima da Giorgia Meloni durante un Consiglio Europeo: girare subito le carte e rendere pubblica già all’inizio del vertice la posizione italiana sul tema più controverso, il riarmo europeo.
Forse una necessità, anzi una doppia necessità.
Mandare messaggi a Roma, a Matteo Salvini, per alleggerire la sua posizione contro il piano di Von der Leyen.
E controbilanciare i messaggi più “bellicisti” di altri leader europei, ad esempio il francese Emmanuel Macron e il polacco Donald Tusk.
Il tutto, però, senza smarcarsi dagli obiettivi politici indicati da Bruxelles e che la premier ritiene, nel complesso, condivisibili.
Innanzitutto, la premier italiana invita a cambiare il nome del Piano. “ReArm”, spiega, è infelice, non rende merito al lavoro che si sta facendo in Europa.
Bisogna battere su difesa e sicurezza, mettere meno in mezzo la parola “armi”. È una nota comunicativa, che letta bene non va a minare le basi del piano europeo. Anzi, mira a dargli una cornice più nobile.
Più sostanziale è il secondo pilastro della posizione italiana: Roma è contraria a utilizzare per il riarmo i Fondi di Coesione. E sta conducendo una “battaglia” con altri Paesi per sostituire questa opzione con altre fonti di finanziamento.
L’Italia, si spiega, ha autorizzato la leva Coesione per non impedirne l’uso ai Paesi che si sentono più minacciati dalla Russia. Ma il governo Meloni non intende avvalersi di questo strumento, che comunque resta volontario. Anche questa è una risposta soprattutto interna.
Più europeo è il terzo pilastro della sua posizione.
Ben venga l’esclusione delle spese di difesa dal calcolo del rapporto deficit/Pil. Ma, in scia alla Germania, l’Italia rilancia la proposta di una “revisione organica” del Patto di stabilità che, secondo Roma, non dovrebbe fermarsi alle materie della difesa, ma comprendere anche altri capitoli, in primis la competitività.
Con Merz, insomma, Meloni vuole smontare un Patto all’insegna dell’austerità, anche per evitare (almeno in parte) che dopo la sospensione a pagare le extraspese siano solo i cittadini con tagli e tasse.
Altro punto rilevante, agganciare la spesa militare autorizzata dall’Ue al calcolo delle spese di difesa in ambito Nato.
Il principio è: ogni euro in più investito nella difesa europea deve contare ed essere contabilizzato in ambito Nato. L’idea è far nascere un sistema di rendicontazione coordinato, altrimenti si potrebbe avere la beffa di spendere miliardi e comunque non raggiungere i target fissati dalla Nato. L’aggancio alla Nato è anche un modo per tenere la mano sempre tesa a Donald Trump e agli Usa, di cui Meloni non vuole fare a meno. Tanto è vero che frizioni al vertice Ue si registrano proprio sulla proposta di Macron di accentrare sulla Francia lo “scudo atomico” dell’Europa.
La posizione italiana cade all’inizio di un vertice Ue in cui Von der Leyen ha parlato apertamente di “Europa in pericolo”.
La linea del governo va inoltre ad avvicinarsi anche a quella che sta portando avanti Elly Schlein nel Pse, nonostante le perplessità dei leader socialisti. La segretaria dem ha incontrato il premier spagnolo Sanchez proprio per convincerlo ad un distinguo sui Fondi di Coesione e sul “quantum” del piano di riarmo, pari a circa 800 miliardi di euro.
Fonte Avvenire
