salumi sono classificati dallo IARC come cancerogeni certi: l’esperto spiega rischi, quantità sicure e come orientarsi tra consumo, alternative e dieta mediterranea
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i salumi come cancerogeni certi, una definizione che continua a far discutere e che interroga sulle abitudini alimentari quotidiane, soprattutto in un Paese dove affettati e insaccati fanno parte della tradizione. Per capire cosa significa davvero questa classificazione, quali sono i rischi e come orientarsi nei consumi, abbiamo intervistato il dott. Andrea Pontara, medico dell’Area Nutrizione Clinica e consulente del Programma Trapianti presso l’Ospedale San Raffaele.
Cosa significa “cancerogeni certi”: la classificazione dell’ IARC
Secondo Pontara, la posizione della IARC non lascia spazio a interpretazioni: “I salumi sono stati classificati come cancerogeni certi per l’uomo, ovvero è stata dimostrata scientificamente un’associazione del consumo regolare con un sicuro incremento di rischio di alcuni tumori, in particolare quelli localizzati nel colon-retto”. La classificazione è la stessa attribuita ad altre sostanze sicuramente cancerogene, e riguarda tutte le carni lavorate, indipendentemente dalla tipologia o dal metodo produttivo. Il motivo è legato ai processi di trasformazione e conservazione: l’utilizzo di nitriti e nitrati, la cottura ad alte temperature, l’affumicatura e la presenza di grassi saturi contribuiscono alla formazione di composti pericolosi per il nostro organismo. Come spiega Pontara: “I conservanti nitriti e nitrati possono formare nitrosamine, composti dimostrati essere per certo cancerogeni e a ciò si sommano idrocarburi derivati dalla cottura e livelli elevati di sale e grassi che alimentano uno stato infiammatorio generale”.
Consumi, alternative e quantità: come orientarsi davvero
Sebbene esistano differenze tra prodotti industriali e artigianali, queste non bastano, secondo Pontara, per parlare di un vero “salume sano”: “Quelli artigianali potrebbero essere un pelino più sani perché non addizionati con altri prodotti nocivi come i conservanti, ma in sostanza questa differenza non impatta in maniera significativa”. Anche la scelta tra diverse tipologie di affettati cambia di poco la sostanza: ci sono opzioni più magre che hanno una quantità minore di grassi saturi, come la bresaola, ma il principio resta quello di ridurne il consumo quanto il più possibile. “Le linee guida delle principali società scientifiche parlano chiaro: se proprio una persona dovesse farne uso, suggeriscono di non superare una volta alla settimana”, aggiunge Pontara, indicando anche una porzione molto ridotta: massimo 50 grammi. Inoltre, alcuni prodotti sono più problematici di altri: “Il salame, la mortadella, lo speck sono più ricchi di grassi e sale rispetto a affettati più magri come bresaola, fesa di tacchino o prosciutto cotto sgrassato”. Si potrebbe pensare come possibile alternativa alla carne rossa non lavorata (come manzo o maiale), ma anche questa è stata classificata come probabilmente cancerogena, anche se è stato studiato che appartiene al gruppo 2A della classificazione IARC degli agenti cancerogeni, ovvero quello con un rischio inferiore rispetto ai salumi: “Inferiore sì, ma comunque presente”, afferma l’esperto.
Fonte fanpage.it a cura di Elisa Capitani
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