Il medico greco Ippocrate (Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C.) descrisse la condizione di melanconia – ossia letteralmente la bile nera, il cui eccesso nel corpo si credeva causa di tale stato d’animo – come una malattia distinta con particolari sintomi mentali e fisici, caratterizzando tutte le «paure e scoraggiamenti, se durano a lungo» come sintomatici di essa.
Questa descrizione è simile al concetto che si attribuisce oggi alla depressione, tuttavia più ampio, in cui sono stati inclusi un raggruppamento di sintomi di tristezza, sconforto e scoraggiamento, spesso paura, rabbia, deliri e ossessioni.
Sul tema della depressione, di recente ho ascoltato queste parole, chiare e inesorabili, di Massimo Recalcati: «Per riuscire a sollevarsi dalla depressione e dalla caduta fuori dal mondo, dall’odio per sé stessi e dall’isolamento, bisogna fare amicizia con la merda.
Cioè con la propria merda. Cioè bisogna riconoscere il proprio peggio, ovvero prendere contatto con il proprio peggio, con le parti più orribili e disgustose. Con le parti peggiori di sé stessi. Cioè quelle parti che generalmente rifiutiamo di riconoscere». E d’altronde, come ci ricorda Fabrizio De Andrè «…dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
Insomma, il pensiero va inevitabilmente a Vittorio Sgarbi, caduto fuori dal mondo e ricoverato al Gemelli di Roma a causa di una grave depressione: «Non ne avevo mai sofferto. Mi sembra un treno che si è fermato a una stazione sconosciuta». Dunque? Forza e coraggio!
Leandro Janni
