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Un altro flop annunciato, il Cpr in Albania colleziona disastri

Last updated: 04/05/2025 6:07
By Redazione 110 Views 5 Min Read
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Il centro di Gjader, simbolo dell’accordo Italia-Albania, si svuota: richieste d’asilo e sentenze smontano la retorica dell’esternalizzazione

Contents
Costi, fallimenti e violazioni: la realtà dietro la propagandaUn modello politico, non giuridico

A fine aprile 2025, il Cpr di Gjader in Albania è vuoto a metà, ma saturo di contraddizioni. Doveva essere l’avamposto della fermezza italiana in materia migratoria, il simbolo dell’esternalizzazione efficiente, dell’Europa che “protegge i suoi confini”. Invece, è diventato il manifesto della confusione giuridica, dell’inadeguatezza operativa e di una narrazione governativa sempre più scollata dalla realtà.

L’accordo Italia-Albania, ratificato dal Parlamento con la legge 14/2024, prevedeva due centri: uno per lo sbarco e la fotosegnalazione a Shengjin, l’altro per l’esame delle domande d’asilo e i rimpatri a Gjader. Ma il disegno originario si è arenato sulle sabbie mobili del diritto. Così, con un colpo di mano, il governo ha forzato la cornice normativa con il decreto 37/2025, trasformando Gjader in un Cpr per migranti già presenti in Italia e destinati al rimpatrio.

Una toppa, che non ha retto al primo urto giurisdizionale: il 19 aprile, la Corte d’Appello di Roma ha bocciato il trattenimento di richiedenti asilo nel centro albanese. Ha ribadito un principio elementare: se una persona trasferita a Gjader chiede protezione internazionale, deve essere riportata in Italia. Fine. Senza appelli. È scritto nel protocollo stesso, all’articolo 4, comma 3.

Il risultato è che molti dei 40 migranti trasferiti tra l’11 e il 12 aprile dal Cpr di Restinco, a Brindisi, hanno già fatto ritorno in Italia. Al 28 aprile, ne restavano solo 25. Quelli che restano, probabilmente, conoscono già la via per tornare. Basta una richiesta d’asilo per smontare l’intero impianto. L’effetto domino è iniziato.

Costi, fallimenti e violazioni: la realtà dietro la propaganda

Il 19 aprile, Matteo Piantedosi ha annunciato il primo rimpatrio diretto da Gjader – uno solo, a oggi – mentre le notizie si susseguono su proteste, vetri rotti, atti di autolesionismo. La sezione detentiva più rigida del centro – 20 posti blindati – non è ancora attiva. Ma basterà?

Le organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione (da Amnesty a Emergency, da Asgi al CIR) sono state chiare: condizioni inadeguate, violazioni dei diritti, ostacoli all’accesso alla difesa, opacità operativa, carenze sanitarie. Un giovane bengalese è già stato riportato a Bari perché considerato vulnerabile. E intanto il centro si svuota.

La pronuncia della Corte d’Appello non è un’anomalia, ma la punta di un iceberg giuridico. Sotto la superficie galleggiano le questioni ancora pendenti davanti alla Corte di giustizia europea, che dovrà decidere se le procedure accelerate di frontiera previste dal Protocollo siano compatibili con il diritto dell’Unione. Ma le conclusioni dell’Avvocato Generale Jean Richard de la Tour hanno già indicato la necessità di garanzie effettive, trasparenza e valutazioni individuali.

Un modello politico, non giuridico

Il Cpr di Gjader è un centro nato sotto giurisdizione italiana, ma fuori dal controllo democratico italiano. Dove l’avvocato incontra il cliente con difficoltà, dove il monitoraggio indipendente fatica a entrare, dove il diritto si inceppa al primo ricorso. Un “laboratorio”, l’ha definito qualcuno. Ma più che un laboratorio, somiglia a un relitto.

Il governo, tuttavia, continua a presentarlo come un successo. Una narrazione che ignora i costi (oltre 670 milioni in cinque anni), i rientri forzati, l’assenza di risultati concreti. Una narrazione che ignora anche l’intervento della Commissione europea, che il 29 aprile ha ribadito che il protocollo non può violare il diritto dell’Unione né ostacolare i diritti garantiti ai migranti. In altre parole: o si sta dentro la legalità, o si cambia strada.

Il Cpr in Albania è diventato l’esempio di cosa succede quando la politica dei simboli travolge il diritto. L’obiettivo era espellere i migranti dalla vista e dalla giurisdizione. Ma è bastata una domanda d’asilo a farli tornare. Legalmente. Inesorabilmente.

Gjader non è una soluzione. È un ritorno coatto alla realtà. E la realtà, a volte, ha più forza di qualunque decreto.

Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli

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