È come se più della metà degli abitanti di Palermo sparisse nell’arco di un decennio, non dal territorio ma dal mondo del lavoro.
Diverse città siciliane ai vertici: Caltanissetta ed Enna sono al terzo e quarto posto Agrigento,
Messina e Palermo in top 20
Stiamo parlando, per l’esattezza, di 354.110 persone: a tanto ammonta lo «spopolamento » della platea potenzialmente occupabile in Sicilia da qui al 2035, attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione, con un numero sempre più ridotto di giovani e un consistente gruppo di “baby
boomer”, ossia di cittadini nati negli anni ‘60 del secolo scorso, prossimi al pensionamento
per raggiunti limiti d’età.
A fare il conto ci ha pensato la Cgia di Mestre, (Associazione Artigiani Piccole Imprese) stilando anche una classifica nazionale specifica, che vede la regione al secondo posto per calo potenziale di lavoratori in termini assoluti – superata solo dalla Campania con oltre 430mila unità – e settima, invece, per variazione percentuale, con quasi 12 punti in meno nell’arco dei dieci anni: un’asticella superiore alla media nazionale, pari a una contrazione del 7,8% con circa tre milioni di occupati in meno tra effetto del calo nascite e pensionamenti.
Pesante il deficit siciliano, con due province tra le prime cinque d’Italia in graduatoria: Caltanissetta ed Enna. Messina è al 14esimo posto nazionale con un -13,4%.
L’Isola, difatti, non rappresenta certo un’eccezione, soprattutto se si pensa a territori come Sardegna, Basilicata e Puglia, nel podio del ranking per svuotamento con cali fra il 13 e il 15%, ma la fotografia dinamica scattata al di qua dello Stretto mostra comunque un deficit pesante, con due province tra le
prime cinque d’Italia in graduatoria.
Si tratta di Caltanissetta ed Enna, rispettivamente al terzo e quarto posto con il 17,6 e il 17,5%
di posti di lavoro «abbandonati» nel decennio, pari a 27.511 e 16.759 unità, mentre nella top 20
spiccano anche Agrigento, con un -14% e un ammanco di 35.837 occupati, Messina con un -13,4%
(l’intera provincia perderebbe quasi 50mila occupato) e Palermo con un -13%, che tradotto in
numeri assoluti equivale a 97.530 persone.
Più staccate Siracusa (-10,5%), Catania (-10%), Trapani (-9% e calo di quasi 26 mila posti) e Ragusa, che tra ritorno alle origini dei cervelli emigrati e un inverno demografico meno rigido tiene testa e resiste, perdendo solo, si fa per dire, il 3,3% della coorte occupabile nella fascia d’età 15-64 anni.
Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, guarda subito al tessuto produttivo e osserva: “se si considera lo spopolamento lavorativo insieme all’instabilità geopolitica, alla transizione energetica e a quella digitale, le imprese sono destinate a subire dei contraccolpi molto preoccupanti. La difficoltà, ad esempio, nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane,
commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio”.
Inoltre, “è importante sottolineare che chi spera in un’inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso, poiché non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi”, e nemmeno il ricorso alla manodopera straniera “potrà risolvere completamente la situazione”.
Di conseguenza, “dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil”, senza dimenticare
“che una società con una popolazione sempre più anziana e meno giovane dovrà affrontare un aumento rilevante della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale, con implicazioni molto negative anche sui nostri conti pubblici”.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia, un barlume di speranza, per quanto paradossale, per coprire
il vuoto quantomeno in Sicilia, e anche nel resto del Sud. Il Mezzogiorno, prosegue Zabeo, potrebbe infatti incontrare meno problemi rispetto al Centronord, perché “a differenza di quest’ultimo il Sud e le Isole presentano tassi di disoccupazione e inattività significativamente elevati, che consentirebbero di colmare, almeno parzialmente, le lacune occupazionali previste soprattutto nel settore agroalimentare e in quello turistico-ricettivo. È altresì evidente che molte aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, saranno costrette a ridurre gli organici a causa dell’impossibilità di procedere ad assunzioni. Per quanto riguarda invece le imprese più grandi, il gap potrebbe risultare meno rilevante, perché “grazie alla possibilità di offrire salari superiori alla media, orari flessibili, benefit e pacchetti significativi di welfare, i giovani tenderanno a preferire le realtà più strutturate”.
