A Caltanissetta, si avvicina un momento che per molti segna la fine di un’era
L’abbattimento dell’imponente antenna Rai, un punto di riferimento visivo e per alcuni un simbolo identitario.
Una decisione dura da accettare e che, sebbene attesa, visto il degrado e lo stato di abbandono in cui versava, porta con sé un velo di malinconia e la consapevolezza che, come recita il saggio proverbio siciliano, “u malatu si cura quannu è ura“ – “il malato va curato sin dai primi sintomi”.
Questo antico detto siciliano, si riferisce al ricorrere alle cure di fronte ai primi sintomi di un male, perchè se vengono sottovalutati e trascurati il male diventa spesso incurabile.
Nel nostro caso, quando “il quadro clinico”, ha sentenziano che non c’era più nulla da fare, ma nonostante l’amaro verdetto, ecco presentarsi al capezzale tanti “medici”, alcuni dei veri e propri “luminari”, tutti con specializzazione in risanamento tecnologico e master in miracoli.
L’antenna è stata colpita da colpita da tempo da una “malattia tecnologica” e l’unica terapia per non farla aggravare e per la sua salvezza era il prendersene cura in tempo, per poi magari trasformarla in qualcosa di utile e magari produttivo.
Anni e anni di esami, pareri medici, consulti e consigli vari non però sono stati presi in considerazione per tentare di trovare la giusta “cura” per la malattia che l’aveva colpita.
Ora, che il “primario” e gli “aiuti” si sono arresi davanti alle evidenze e stanno per staccare le macchine che la tengono ancora in vita ed essendo partito il conto alla rovescia per il suo abbattimento ci si rende conto della gravità della “malattia”.
Anche i più speranzosi e tani sostenitori saranno costretti ad accettare il fatto che ogni cosa, se non curata in tempo e nel tempo, arriva ad un punto che neanche un miracolo può più salvarla.
Il proverbio siciliano invita proprio a questo, ad intervenire quando si è ancora in tempo e, qualora ciò non sia avvenuto, accettare serenamente ciò che non può più essere cambiato.
Non ha senso lamentarsi o tentare di resistere quando la direzione è ormai tracciata.
L’abbattimento dell’antenna Rai non è il risultato di un capriccio o di una scelta arbitraria, ma la conseguenza inevitabile, da una parte dell’evoluzione tecnologica e dall’altra dell’incuria di chi doveva curarla e anche di chi doveva vigilare che le giuste “medicine” venissero somministrate.
È il momento adesso di guardare avanti, riconoscendo il valore di ciò che è stato ma senza aggrapparsi ostinatamente a un passato che non può più tornare, semmai qualcuno, invece di “piangere” lacrime di coccodrillo, si facesse un bell’esame di coscienza chiedendosi “ma io che oggi mi lamento, cosa ho fatto di concreto”.
Ovviamente un pizzico di nostalgia è più che giustificato, perchè l’antenna ha rappresentato un pezzo della storia di Caltanissetta, con i suoi ricordi d’infanzia, con il vederla in lontananza quando si rientrava in città o la sera tutta illuminata.
Ma come per ogni addio, anche il più doloroso, arriva il momento di rassegnarsi e accettare, in questo caso il fatto che in fondo la responsabilità è un po’ di tutti.
Quanto successo deve però far riflette, cercando di non lasciar che altre cose si ammalino in maniera talmente grave da non esserci poi più cure, l’abbattimento dell’antenna Rai sia un promemoria per tutti coloro che potevano fare e non hanno fatto, che promettono e sbandierano amore per la città ma che poi al momento di dimostrarlo si girano dall’altra parte.
Purtroppo di esempi ne abbiamo avuto tanti in passato, speriamo di non dover assistere prossimamente a qualche altro “abbattimento”. Ad Maiora
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