Tra evidenze scientifiche e pratica educativa: il ruolo dell’intervento precoce e dell’ambiente relazionale nel sostenere lo sviluppo nei bambini a rischio di autismo
Il 6 giugno 2025, una rappresentanza della Cooperativa Consenso ha preso parte con entusiasmo e partecipazione al Convegno Nazionale “Prevenire l’Autismo? Prospettive di intervento preventivo nei bambini a rischio o con primi segni di autismo”, tenutosi presso l’Auditorium Stella Maris di Calambrone, a Pisa. Il titolo, volutamente provocatorio, ha fin da subito aperto una riflessione profonda sul significato che oggi attribuiamo alla parola “prevenzione” quando si parla di disturbo dello spettro autistico.
Durante la giornata abbiamo ascoltato con attenzione contributi scientifici di altissimo livello, ma soprattutto abbiamo riconosciuto, in molte delle riflessioni proposte, ciò che ogni giorno viviamo sul campo nei percorsi educativi e terapeutici accanto ai bambini e alle loro famiglie. Ciò che è emerso con chiarezza è che prevenzione, in questo contesto, non significa evitare o correggere una condizione, ma accorgersi in tempo, osservare con attenzione e intervenire in modo rispettoso e relazionale. Prevenire è creare le condizioni affinché ogni bambino possa sviluppare il proprio potenziale, anche quando questo si esprime in forme divergenti rispetto a ciò che viene considerato tipico.
Uno degli spunti più rilevanti che ci siamo portati a casa è legato alla differenza tra avere una competenza e poterla usare. Non basta che un bambino abbia dentro di sé una capacità: ciò che conta è quanto spesso quella competenza trova spazio per esprimersi, in quali contesti, con quali stimoli, in quali relazioni. Lo sviluppo non si gioca solo nella biologia, ma soprattutto nell’incontro tra predisposizione e ambiente. Ed è proprio qui che il nostro ruolo diventa fondamentale: costruire contesti, creare opportunità, favorire scambi che permettano a quelle competenze di emergere, rafforzarsi e diventare strumenti reali di comunicazione, relazione, autonomia.
In questa direzione ci ha colpito molto anche la riflessione sul ruolo del corpo nella costruzione della vita sociale. L’imitazione, il movimento, il ritmo condiviso sono le prime forme attraverso cui un bambino entra in relazione con l’altro. E come ci è stato ricordato durante il convegno, la comunicazione non nasce dalle parole, ma dai gesti, dallo sguardo, dall’attesa reciproca. La relazione madre-bambino, nella sua architettura invisibile, è fatta di risposte intuitive, di sintonie che si creano attraverso piccoli segnali: ed è proprio lì, nei primi mesi di vita, che si pongono le basi dell’intersoggettività, del piacere di stare insieme, del desiderio di essere riconosciuti.
Abbiamo trovato straordinario quanto la ricerca confermi ciò che l’esperienza ci mostra ogni giorno: è la qualità della risposta dell’adulto, la forma e non solo il tempo, a fare la differenza. Non basta esserci, occorre esserci in un modo che il bambino possa riconoscere, comprendere e a cui possa rispondere. È lì che nasce la reciprocità, e con essa la possibilità di crescere insieme.
Molto importante è stato anche il tema dei siblings – i fratelli e le sorelle di bambini con autismo – che spesso, anche in assenza di una diagnosi, presentano caratteristiche simili, in forma più lieve. Dagli studi su queste famiglie è nato il concetto di broader autism phenotype e, grazie alle osservazioni condotte in età molto precoce, si sono potuti individuare indicatori osservabili già entro i primi 18 mesi: la risposta al nome, l’uso del gesto, l’attenzione condivisa, la qualità dell’interazione oculare. Indicatori che oggi ci permettono, con gli strumenti adeguati, di individuare bambini a rischio e avviare interventi mirati, tempestivi, rispettosi.
Un altro tema che abbiamo sentito molto vicino è stato quello dell’ambiente. È stato sottolineato come il neurosviluppo non si costruisca in astratto, ma prenda forma nelle esperienze, nelle relazioni, negli scambi quotidiani. È lì che le traiettorie si consolidano, si rafforzano, o – al contrario – si irrigidiscono e si chiudono. È per questo che si è parlato della necessità di interventi precoci, sì, ma soprattutto personalizzati, capaci di adattarsi al bambino e non viceversa. Interventi che evitino la standardizzazione e sappiano valorizzare profili evolutivi diversi, senza ridurli a confronti normativi.
Sintonizzarsi con il bambino, osservarlo con sguardo curioso e non giudicante, costruire un ambiente favorevole allo scambio e alla reciprocità: questa è la vera forma di prevenzione. Una prevenzione che non forza, ma accompagna con sensibilità il percorso evolutivo.
In fondo, se c’è una consapevolezza che questo convegno ci ha lasciato, è che di fronte a una diagnosi – o anche solo a una sospetta traiettoria atipica – non possiamo permetterci di restare fermi ad “aspettare e vedere”. L’attesa, da sola, non è neutra. Ogni giorno che passa senza intervento è un’occasione perduta per entrare in relazione, per costruire un ponte, per offrire al bambino strumenti e contesti che possano sostenerlo.
Prevenire, oggi, significa proprio questo: non rimandare, non lasciare che il tempo da solo faccia il suo corso, ma prendere per mano quel tempo e trasformarlo in cura, ascolto, presenza attiva. Intervenire non vuol dire forzare lo sviluppo, ma accompagnarlo nella sua autenticità. Significa creare lo spazio giusto perché ogni bambino possa esprimersi, con i suoi ritmi, il suo stile, la sua originalità.
Ed è lì che il nostro lavoro, come educatori, terapeuti, genitori e professionisti, acquista tutto il suo senso: essere parte di un processo che riconosce, accoglie e sostiene. Perché la vera prevenzione non è un atto clinico, ma un gesto quotidiano di fiducia nello sviluppo umano.
Da sn Gaetano Terlizzi, Loreta Lipari di Elle Aba Palermo, Alessandra Sardo e Roberta Italiano
