Caccia ai 18 franchi tiratori che hanno fatto cadere la giunta sugli aumenti ai manager. Indiziati Tamajo e le “pasionarie” Caronia e Lantieri
Contrario è stato Gianfranco Micciché con il gruppo di Grande Sicilia Si salva invece Sud chiama Nord.
L’ordine di scuderia di abolire gli emendamenti per la manovra di primavera sarebbe l’ennesima
sberla per i deputati.
L’unico punto fermo è che a votare apertamente contro l’aumento dei gettoni per i manager delle società partecipate della Regione sono stati i 21 deputati dell’opposizione: dieci parlamentari del Pd, altrettanti del Movimento 5 Stelle, insieme al fondatore del movimento Controcorrente Ismaele
La Vardera.
Ma ad affossare la norma proposta dal governo — e dall’assessore all’Economia Alessandro Dagnino — sono stati in 39. E all’Ars, in pausa almeno per le prossime due settimane, è partita la caccia al franco tiratore.
Perché i deputati della maggioranza presenti in aula al momento del voto erano in tutto 36.
Di questi, due non hanno partecipato al voto: l’autonomista Geremia Lombardo e il forzista Salvo
Tomarchio (insieme alla Cinquestelle Cristina Ciminnisi). Ne restano 34.
Ma i voti per salvare la norma, espressi a scrutinio segreto, sono stati appena 16.
Chi sono i 18 esponenti della maggioranza ad avere tradito? E, soprattutto, a chi hanno mandato un segnale?
In casa forzista non mancano le crepe, soprattutto con l’ala che fa capo a Edy Tamajo, messa all’angolo da Schifani.
In aula erano tutti presenti e votanti: sia l’assessore alle Attività produttive che i due deputati a lui vicini Nicola D’Agostino e Gaspare Vitrano, tra gli indiziati nella caccia ai responsabili.
Alla lente del governo anche le “pasionarie” più volte fuori dal coro rispetto alla linea della maggioranza: Marianna Caronia (che in Aula, però, è intervenuta risparmiando le critiche alla norma) e la forzista Luisa Lantieri.
E se molti dei posti di sottogoverno che avrebbero beneficiato dell’aumento dei gettoni sono riconducibili alla Dc di Cuffaro, osservano dalle retrovie, con ogni probabilità qualcuno nella maggioranza potrebbe aver mandato un segnale agli alleati sui disequilibri nella spartizione Cencelli.
Non mancano i mal di pancia neanche dalle parti di Fratelli d’Italia: complici le frizioni nei giorni
della cacciata dell’ex manager dell’Asp di Trapani, Ferdinando Croce, ma anche gli strascichi nella
guerra fratricida sul voto nelle ex Province.
A intervenire in aula per esprimere il suo parere contrario è stato invece Gianfranco Micciché,
tra i fondatori di Grande Sicilia: non è escluso che anche gli altri deputati autonomisti abbiano votato
nella stessa direzione.
E se nella caccia al franco tiratore si “salva” Sud chiama Nord di Cateno De Luca, i cui deputati erano
assenti, la maggioranza oltre ai responsabili cerca anche le ragioni del segnale.
In questo senso, la prima indiziata è la prossima manovrina di primavera: l’ordine di scuderia per la
maggioranza, da quanto filtra, sarebbe quello di non presentare emendamenti e mantenere una manovra asciutta.
Per i deputati è l’ennesima sberla: come se il parlamento — è il malumore che filtra — servisse
solo a ratificare decisioni già assunte in giunta.
A incidere è anche lo scontro nella maggioranza sulle elezioni di secondo livello nelle ex Province.
A tenere banco è ancora il caos del voto ad Agrigento, dove il centrodestra è spaccato tra meloniani,
Noi moderati, leghisti, Dc e Udc che sostengono la corsa del sindaco di Palma di Montechiaro Stefano
Castellino alla guida del Libero consorzio agrigentino, mentre Forza Italia e Grande Sicilia si schierano al fianco del primo cittadino di Aragona Giuseppe Pendolino, che conterà anche su una lista civica che ospita anche consiglieri comunali di area dem e Cinquestelle.
Insomma, la sinistra non esprime alcun candidato alla guida della ex Province e il centrodestra si spacca lo stesso.
Esattamente come non è riuscito a trovare la quadra a Caltanissetta, dove a sfidarsi nella stessa
metà campo saranno Massimiliano Conti e Walter Tesauro, mentre il campo progressista punta su Terenziano Di Stefano.
E ancora, a Ragusa: sfida a tre tra il dem Roberto Ammatuna e i due portabandiera della maggioranza, Gianfranco Fidone e Maria Rita Schembari.
Alla fine il centrodestra balcanizzato dalle lotte intestine ha mostrato tutte le sue crepe nel voto dell’Aula.
Non a caso il voto sulla zona economica speciale, particolarmente caro al governatore, è stato rinviato al prossimo 6 maggio, confidando che le acque si siano calmate.
Nel frattempo, pausa di due settimane: mentre Camera e Senato torneranno a riunirsi martedì 22 aprile, per l’Ars bisognerà attendere il 29 aprile, quando è previsto il question time su alcune
interrogazioni parlamentari.
Per l’esame del disegno di legge sugli Enti locali, invece, bisognerà attendere il prossimo 5 maggio.
Da laRepubblicaPalermo
