Un’antica massima siciliana che tradotta suona più o meno così “non ho i soldi per comprare il pane ma compro i dolci”…e mai come oggi questo detto è attuale.
I nostri avi, con la loro clasica saggezza e la loro proverbiale parsimonia, usavano questa frase per descrivere il culmine dell’irrazionalità, il precipizio in cui cadeva chi preferiva il superfluo all’indispensabile.
Oggi è diventata per molti una guida spirituale, il mantra che sussurrano tra un acquisto e l’altro.
“Certo,e non ho i soldi per la bolletta del gas, ma vuoi mettere la soddisfazione di farmi vedere al ristorante, in giro con la macchina nuova o postare foto in vacanza in alberghi di lusso”.
Ma a Caltanissetta, la nostra amata città, il detto “unnaiu u pani e maccattu i durci” assume una connotazione quasi epica.
Mentre molti cittadini faticano ad arrivare a fine mese, stringendo la cinghia per affrontare le spese quotidiane, visto che i servizi essenziali non sempre corrispondono alle reali esigenze, la città sembra preferire vivere un sogno ad occhi aperti.
Passando dal personale al collttivo, non sfugge che abbiamo beni preziosi, ma abbandonati, testimonianze di un passato glorioso che cadono a pezzi per la mancanza di fondi, eppure, in questo scenario, si continua a parlare con fervore di “dolci“, il salvataggio dell’antenna.
Certo, il Comune dichiara con orgoglio di aver risanato un disavanzo, il che è senza dubbio un fatto positivo.
Ma come si concilia questo con l’idea di un progetto così ambizioso, come il probabile recupero dell’antenna a spese della collettività, quando mancano chiare indicazioni su come si intenda finanziare un tale esborso?
Con quali soldi, o meglio, con quali progetti si pensa di sostenere un’iniziativa che, per quanto affascinante, rischia di essere l’ennesimo “dolce” quando manca il “pane” per il quotidiano?
Il pane, ai tempi che furono, era la base, il sacro elemento della sussistenza.
I dolci?, un lusso, da comprare, non sempre, la domenica, al limite lo si faceva in casa per risparmiare.
Oggi, il concetto di “pane” si è evoluto, o forse involuto. Non è più solo un cibo, è tutto ciò che ci serve per vivere dignitosamente: affitto, utenze, tasse varie, spese sanitarie etc.etc..
I “dolci” di oggi sono diventati altro, sono oggetti buoni da mostrare che promettono una felicità effimera e, spesso, un buco nero nel portafoglio e in banca.
Dalla borsa o il vestito firmato, all’ultimo modello di smatphone, che costano magari più di due mesi di affitto, all’abbonamento alla palestra dove andiamo dopo aver passato la giornata a mangiare le peggio cose, passando per il weekend “per staccare” da cosa poi non si capisce bene.
La lista è infinita, e ogni voce è un piccolo “dolce” costosissimo passo verso il precipizio del bilancio personale, familiare e collettivo.
Il paradosso è proprio questo, ci affanniamo a inseguire la gratificazione immediata o quell’apparire più ricchi di quanto realmente siamo, salvo poi ritrovarci con l’amaro in bocca quando ci rendiamo conto che il “pane”, quello vero, quello che ci tiene in piedi, ci manca e siamo ricchi fuori casa ma poveri dentro, anche tra le mura domestiche.
Ma forse c’è una via d’uscita, magari si potrebbe riscoprire il valore del “pane”, apprezzare ciò che è essenziale e imparare a distinguere tra un desiderio e una reale necessità.
Oppure continueremo a comprare dolci, sperando che la felicità effimera ci tenga a galla finché la glicemia non dirà stop, come il direttore della banca, al quale non rispondiamo più al telefono.
Dopotutto, l’ironia, in questo caso amara, è anche questa, saper ridere di noi stessi mentre ci gustiamo l’ultimo gamberone accompagnandolo da un pregiatissimo vino bianco, anche se poi, tornati acasa, ci tocca mangiare pasta in bianco per una settimana e bere acqua minerale…o forse, per risparmiare, anche quella del rubinetto.
Ma Caltanissetta, come molte città, vive di contrasti e sfumature che ne definiscono l’identità.
Se da un lato l’orgoglio locale è palpabile, dall’altro emerge una peculiarità che molti nisseni riconoscono solo negli altri, “l’apparire conta più dell’essere”.
Questa tendenza a curare l’immagine esteriore, a mostrare una facciata impeccabile, a volte finisce per oscurare la vera sostanza, i veri valori e le reali condizioni.
In un contesto dove la forma prevale, non è un caso che, oltre al classico “magonzesi”, a volte i nisseni vengano definiti “parigini”.
E in fondo, chi pronuncia queste parole non ha tutti i torti.
La “pariginizzazione” non è qui intesa come un’eleganza sofisticata, una raffinata cultura o un benssere economico, ma piuttosto come una propensione a esibire, a curare minuziosamente l’esteriorità, quasi a voler comunicare uno status o un’appartenenza che, a volte, non corrisponde pienamente alla realtà.
Si potrebbe interpretare come un desiderio di distinguersi, di elevarsi, forse anche di celare le difficoltà quotidiane dietro una finta impeccabilità.
Questo fenomeno, pur sembrando una contraddizione, in fondo, con il “magonzesi”, si integra.
Il “magonese” bada al sodo e forse risparmia sul necessario, ma è lo stesso che poi potrebbe spendere cifre, che non può permettersi per un capo firmato o per un’auto di lusso, non tanto per il valore dell’oggetto, quanto per il messaggio che esso fa percepire.
È un equilibrio delicato tra la prudenza e il desiderio di mostrare, tra il risparmio e l’ostentazione.
In definitiva, Caltanissetta si rivela una città complessa, dove tradizione e modernità, schiettezza e apparenza si intrecciano.
E forse, nel profondo, questa dicotomia tra “essere” e “apparire” è solo un altro tratto distintivo che rende i nisseni, a loro modo, unici.
Sia chiaro, con questo non si vuol invitare a non spendere, sia nel pubblico che nel privato, chi può è giusto che compri enormi vassoi di “dolci”, li regali pure, serve a far girare l’economia, ma chi non può o può meno, pensi prima al “pane” e nel vassoio al limite metta i “mignon”. Ad Maiora

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