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“Si sapi unni si nasci e nun si sapi unni si mori”: L’esodo silenzioso da Caltanissetta

Last updated: 18/09/2025 8:30
By Sergio Cirlinci 112 Views 7 Min Read
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“Si sa dove si nasce, ma non dove si muore”. Ancora partenze, altri addii, un esodo silenzio e inarrestabile, questo è quello a cui si assiste periodicamente, persone che portando dentro le loro valigie sogni infranti, ricordi, lacrime e la speranza di un futuro migliore.

Il detto popolare “Si sa dove si nasce e non si sa dove si muore” risuona con una malinconica verità in molte realtà del Sud Italia, e Caltanissetta non fa di certo eccezione.

Questa antica saggezza, si carica ogni volta di un significato più amaro, per troppi, il luogo della morte non è solo incerto, ma è quasi certamente lontano dal luogo della nascita, forzato dalla necessità.

A Caltanissetta, come in tante altre città meridionali, intere famiglie, giovani e meno giovani, sono costrette a fare le valigie, l’emigrazione non diventa una scelta avventurosa, ma una dolorosa e obbligata necessità.

I meno giovani partono in cerca di nuove opportunità, i giovani per studiare in atenei che offrono maggiori specializzazioni e nuovi orizzonti, tutti per cercare un futuro dignitoso, possibilmente anche un lavoro non precario o soggetto a sfruttamento.

Le lauree conseguite con fatica e sacrifici familiari spesso non trovano sbocco nella propria terra natale, trasformando il sogno di costruire un futuro nella propria città, circondati da amici e parenti, in una chimera.

Andar via vuol spesso cambiare la propria mentalità, per meglio vivere nel nuovo contesto, cambiare, in alcuni casi anche lingua e abitudini, ma anche stile alimentare.

Molti settori sono stagnanti, l’imprenditoria fatica a decollare e gli investimenti scarseggiano.

Di conseguenza, chi desidera un’opportunità di crescita professionale, una retribuzione equa e un ambiente di lavoro rispettoso dei diritti, è quasi obbligato a guardare oltre i confini regionali, se non nazionali.

Questa situazione non è frutto del caso, ma è il risultato di una grande responsabilità della politica, a tutti i livelli.

Per anni, la classe dirigente locale, regionale e nazionale non è riuscita a creare un ambiente propizio allo sviluppo.

Promesse disattese, progetti mai realizzati, una burocrazia asfissiante e una scarsa visione a lungo termine hanno contribuito a soffocare ogni tentativo di crescita.

La politica, che avrebbe dovuto essere motore di progresso e garanzia di equità, si è spesso rivelata inefficace, quando non addirittura dannosa, nel contrastare il declino economico e sociale.

L’assenza di una strategia chiara per attrarre investimenti, valorizzare le risorse del territorio e supportare le imprese esistenti ha lasciato un vuoto che la scelta dell’emigrazione è andata a colmare.

Le conseguenze di questa emorragia umana sono devastanti.

Si assiste a uno spopolamento progressivo che non risparmia nessuno, prima i piccoli paesi adesso anche le città più grandi.

Le strade si svuotano, i negozi chiudono, le scuole contano sempre meno iscritti.

Ma il fenomeno non riguarda solo i giovani e meno giovani in età lavorativa o di studio.

Sempre più spesso infatti anche i pensionati che raggiungono i figli e i nipoti nelle loro nuove città. Si trasferiscono per dare una mano con i nipoti, per offrire un aiuto pratico ma anche economico o semplicemente per stare vicini ai propri cari, non volendo vivere la solitudine di una città che si svuota dei suoi affetti più preziosi.

Questo crea un ulteriore vuoto, spezzando i legami sociali e familiari che per secoli hanno rappresentato il cuore e l’anima delle comunità meridionali.

Il rischio è che Caltanissetta, e con essa molte altre città del Sud, perda non solo la sua forza lavoro e i suoi talenti, ma anche la sua identità culturale e sociale.

Il silenzio delle piazze e le case vuote diventano il simbolo di un’opportunità mancata, di un potenziale che non è riuscito ad esprimersi al meglio.

Questa condizione di necessità, che spinge all’abbandono della propria terra, richiama alla mente storie di un passato non così tanto lontano.

Basti pensare a film come “Il cammino della speranza” (1950) di Pietro Germi, magistralmente interpretato da Raf Vallone.

Questa pellicola, ispirata al romanzo “Cuori negli abissi” di Nino di Maria, scrittore originario di Sommatino, narra la drammatica odissea di un gruppo di minatori siciliani costretti ad emigrare in Francia in cerca di lavoro e dignità. Un viaggio straziante, carico di sacrifici e speranze infrante, che ancora oggi, a distanza di decenni, rispecchia in modo inquietante la realtà di tanti giovani e famiglie che lasciano la loro terra.

Sebbene il contesto sia mutato, la spinta alla partenza è la stessa: la ricerca di un futuro migliore, di una vita più giusta e meno precaria.

Oggi più che mai è urgente e fondamentale invertire questa tendenza.

Servono politiche mirate che incentivino l’occupazione giovanile, che supportino l’imprenditoria locale, che attraggano investimenti e che valorizzino le risorse e le eccellenze del territorio.

La politica ha il dovere di creare le condizioni affinché “Il cammino della speranza” possa essere percorso nella propria terra, senza la necessità di un doloroso addio.

Solo così, forse, il detto “Si sa dove si nasce e non si sa dove si muore” potrà tornare a essere un’espressione del mistero della vita e non la cruda realtà di un’emigrazione forzata.

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